martedì 25 febbraio 2014

La mia mente funziona per metafore

C' è un suo bellissimo racconto, inserito nella raccolta La cosa nella foresta, in cui una donna si tramuta lentamente in pietra, esempio inusuale se guardiamo alla sua narrativa in cui il fantastico sopravanza il reale: 

«In Una donna di pietra l' aspetto reale mi sembra ancora più importante che in tutti i racconti o romanzi che abbia mai scritto. Perché era una storia sul dolore, su una donna che si trasforma in bellissime pietre. Solo attraverso la fantasia, in maniera indiretta, potevo affrontare questo argomento così personale». 
L'attenzione al multiforme femminile non è comunque preminente nelle sue opere anche se, precisa, «la parola metamorfosi nella sua radice è imparentata con la parola metafora. E la mia mente funziona per metafore». 
Preponderante è invece l' uso enciclopedico delle discipline letterarie e scientifiche, inclusa l' attenzione per la vita delle formiche o lo studio delle chiocciole: afferma che la forma di tutti i suoi romanzi, anche della più realistica quadrilogia fondata sull'alter ego Federica Potter, nasce da una metafora dominante: le lumache ne La torre di Babele, i burattini ne Il libro dei bambini
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I romanzi, scrive in uno dei saggi presenti in On Histories and Stories, nascono dalle mancanze, dalle carenze della storia: «Perché lo scrittore osserva cose diverse dallo storico. 
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Quando era più giovane non possedeva il senso della forma, dice, «dovevo riscrivere i libri venti o trenta volte, poi ho capito che devo trovarlo prima di iniziare perché è l' unico modo per controllare la scrittura. Comincio a lavorare alla struttura di un romanzo molto prima di pensare a personaggi, dettagli, eventi o relazioni fra le cose. In questo modo posso rendermi conto in una maniera quasi matematica se c' è qualcosa che non funziona». 
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Credo di amare la pittura perché è silenziosa e perché dà l' idea che non ci sia il tempo» spiega. «I pittori guardano al mondo in una maniera completamente diversa, per me i quadri sono immagini provenienti da un altrove che non ci appartiene.
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Al tentativo di rintracciare una verità ontologica è unita anche l'idea di fondo della sua narrativa: raccontare come funziona la mente umana, nell'ipotesi suggestiva di tracciarne una grammatica: 
«È vero. Siamo proprio all'inizio del metodo con il quale possiamo guardare con la neuroscienza alla grammatica della mente. Quando ero una bambina pensavo che c' era qualcosa dentro la testa, qui dietro, che ti guardava. Oggi, più correttamente, l' immagine con la quale si comincia a guardare alla grammatica della mente è un albero, con diverse radici e ramificazioni, e una struttura matematica molto precisa».

frammenti dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Antonia S. Byatt
Repubblica 18 settembre 2011

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