martedì 7 agosto 2012

Tradurre è trovare la nota giusta

Magris - Quando mi capita, in qualche città all’estero, di presentare un mio libro tradotto, spesso, mostrando l’edizione italiana, dico che quel testo l’ho scritto io, aggiungendo che l’altro, la versione nell’altra lingua, l’abbiamo invece scritto in due, io e il traduttore o la traduttrice. La traduzione letteraria infatti è una vera e propria ri-creazione; è un lavoro linguistico e poetico, la trasformazione di qualcosa in qualcosa d’altro, che pure mantiene la sua originalità e la sua unicità. Dire quasi la stessa cosa, ha scritto Umberto Eco; quel quasi è lo spazio avventuroso del ricreare. Tradurre è impossibile e necessario, scrivevano tanti anni fa due germanisti triestini, Guido Cosciani e Guido Devescovi; in questo senso assomiglia alla vita e alla necessità di afferrarne il senso sempre sfuggente. Come diceva Schlegel, l’inventore del Romanticismo, è la prima forma di critica letteraria, perché scopre inesorabilmente i punti di forza di un testo e quelli deboli, dove un testo tiene e dove annaspa o bara. Ne parlo con una maestra di quest’arte singolare, Ljiljana Avirovic, studiosa croata vivente da decenni in Italia e docente di Teoria e pratica della traduzione dall’italiano in croato e di Teoria e pratica della traduzione specialistica in italiano e in croato presso la Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori dell’Università di Trieste, scuola di cui costituisce una colonna portante...«Ho tradotto anch’io — le dico tornando insieme a lei a Trieste da un convegno a Zagabria — anche se non posso certo paragonarmi a te, e so che la versione creativamente fedele estrae da ogni libro qualcosa d’altro che ha ancora da svilupparsi, da crescere… Per entrare nel vivo del lavoro di bottega, come procedi quando attacchi la versione di un libro? Ci sono varie fasi?».
Avirovic — Sì, procedo per fasi. La teoria della traduzione propone tre fasi: la comprensione, l’interpretazione e la stilizzazione. Lo studio che precede la traduzione (le prime due fasi) è molto utile; permette al traduttore di farsi un’idea su cosa sarà, o cosa vorrebbe fosse, il risultato finale. La terza fase è originata dal talento: esso è un dono che consente la nuova creazione di un’opera preesistente e, nel contempo, è lo specchio delle brame traduttive. Ad esempio, con le tre differenti letture del tuo romanzo Alla cieca prima di iniziare la traduzione, ho afferrato il ritmo narrativo e ricreato spero degnamente la tua opera nella mia lingua. Nell’angolo creativo del mio animo sento ancora il timbro musicale di quelle frasi...

Claudio Magris in conversazione con Ljiljana Avirovic
Corriere della Sera 6 agosto 2012

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