Aspettavo
ogni giorno, in piedi sulla riva del lago, che la città si rivelasse ai miei
occhi. In pochi credevano che esistesse, chi l'aveva veduta era impazzito, chi
aveva donato al dio delle risa i suoi pensieri aveva smesso di cercare, chi era
partito non aveva più trovato il filo
del ritorno. O forse si era solo lasciato morire nel lago per non dire la
propria sconfitta.
Cosa
resta di un uomo che ha perduto la sua visione? Cosa resta di un uomo che ha
smesso di desiderare?
Ah maledetta
mattina in cui i miei occhi d'infanzia hanno visto per un attimo, perfetto e
rotondo, gli altissimi palazzi, i monumenti, le strade della città di vetro
rilucere nel mio mattino.
Il sole
attraversava le antiche mura dando loro consistenza e colore.
Le
acque del lago, bianche nel riverbero dell'alba, si aprirono come uno specchio
e la città si mosse dal centro dell'acqua sino a me.
Le mie
mani diventarono azzurre, la mia fronte splendeva, il cielo era rosso come i
lamponi, rosso come il sangue, rosso come i papaveri, rosso come un bambino
vede il rosso.
Mia
madre mi chiamò dalla porta di casa, la città scomparve, io persi la visione e
imparai a desiderare.
La
città è in me da quel giorno, l'ho rubata al lago. Nessuno da allora ha più
detto di averla veduta, tutti continuano a cercarla, io la custodisco come un
segreto, come un tesoro rubato.
La
città non ha parlato, non ha rivelato ancora a nessuno il suo mistero, non
ha raccontato le sue storie.
La
città dorme nel centro del lago, i suoi abitanti sono fatti di buio, i suoi
abitanti sono fatti di stelle. Se così non fosse loro pure avrei veduto.
Io
cerco una città che custodisco in me e dietro i miei occhi marchiati dal sole,
è una galassia dalle braccia colorate che ruota verso sinistra a dirmi che la
città è la sua capitale.
Io sono
il palazzo con le finestre aperte e bianche, io sono la città intera e la
galassia che ruota.
Mia
madre mi sta ancora chiamando, ferma sulla porta della cucina.
La
città porta il mio nome, io porto il volto di questa città.
Perché‚
un palazzo non basta a contenere la mia visione.
Io non
ho perduto nulla se non il coraggio di guardare. Lascio che i colori si
sciolgano sulle mie mani, imprecisi come un ricordo lontano, sfumati come il
sapore della tua bocca la prima volta che ti ho baciata.
La
città dorme in me, tranne quel poco che ho lasciato sulla tela.
Il
cielo è rosso, le mie braccia stanche.
Io sono
la visione, quel cielo rosso, io sono la tela e la ragione, la voce che fa
vibrare l'acqua del lago.
Io sono,
perché‚ in quell'acqua cerco il mio vero volto.
A
Roberto Plevano da Elena Petrassi
un racconto scritto nel maggio del 2000 per
un amico pittore ispirandomi al quadro che apre
il suo sito
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