venerdì 3 agosto 2012

Entrare a Milano (l'incipit della certosa di Parma)

Capitolo primo
Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò in Milano a capo di quella giovane armata che aveva varcato il ponte di Lodi e annunciato al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore.
I prodigi d'ardimento e di genio cui l'Italia assistette nel giro di qualche mese, ridestarono un popolo addormentato; ancora otto giorni prima dell'arrivo dei francesi, i milanesi non vedevano in essi che un'accozzaglia di briganti avvezzi a fuggir sempre davanti alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale; questo almeno era quanto ripeteva loro tre volte alla settimana un giornaletto, grande come la mano, stampato su cattiva carta. 
Nel Medio Evo i milanesi non erano stati meno bravi dei francesi della Rivoluzione, tanto che s'erano meritati di vedere la loro città rasa al suolo dagli imperatori d'Alemagna. Ma da quando erano diventati dei fedeli sudditi, il loro gran daffare era di stampare sonetti su fazzolettini di taffetà rosa ogni volta che si celebrassero le nozze d'una donzella appartenente a qualche famiglia nobile o ricca. Due o tre anni dopo questa data memoranda della sua vita, quella stessa donzella si prendeva un cavalier servente; talora il nome del cicisbeo, scelto dalla famiglia del marito, occupava un posto d'onore nel contratto di matrimonio. C'era un bel salto tra tali costumi effeminati e le profonde emozioni che diede l'arrivo imprevisto dell'armata francese. Sorsero nuovi costumi profondamente sentiti. Il 15 maggio 1796 tutto un popolo ebbe ad accorgersi che quello che aveva sin allora rispettato era estremamente ridicolo e qualche volta odioso. La partenza dell'ultimo reggimento austriaco segnò il tramonto delle vecchie idee; esporre la propria vita diventò di moda. Si vide che dopo secoli di ipocrisia e di sensazioni scipite bisognava amare qualche cosa di vera passione e per quello sapere all'occasione arrischiare la vita.


Seguo la promessa di felicità di Antonio Muñoz Molina e mi accingo a rileggere...


Stendhal
La certosa di Parma
traduzione di Camillo Sbarbaro
Einaudi 1976

Nessun commento: