Era meraviglioso
scendere le lunghe rampe di scale sapendo che mi era andata bene col lavoro. Lavoravo
sempre finché non avevo concluso qualcosa e smettevo sempre quando sapevo quel
che sarebbe successo dopo. Così ero sicuro che il giorno successivo sarei
andato avanti. Ma qualche volta quando stavo cominciando un nuovo racconto e
non riuscivo a farlo partire, mi sedevo davanti al fuoco e strizzavo le bucce
delle piccole arance sul bordo della fiamma e guardavo lo scoppiettio di
scintille blu che producevano. Restavo a guardare fuori sui tetti di Parigi e a
pensare : “Non preoccuparti. Hai sempre scritto prima e scriverai adesso. Non
devi far altro che scrivere una sola frase vera. Scrivi la frase più vera che
conosci”. Così alla fine scrivevo una frase vera, e poi da lì andavo avanti. E allora
era facile perché c’era sempre una frase vera che conoscevi e che avevi visto o
che avevi sentito dire da qualcuno. Se cominciavo a scrivere in modo
complicato, o come qualcuno che introduceva o presentava qualcosa, scoprivo che
potevo benissimo tagliare tutti i fronzoli e gli arzigogoli e buttarli via per
cominciare con la prima frase vera ed esauriente che avevo scritto. Lassù in
quella stanza decisi che avrei scritto una storia su ogni cosa che conoscevo. Cercavo
di farlo per tutto il tempo in cui scrivevo ed era una buona e severa
disciplina.
Fu in
quella stanza che imparai a non pensare a niente di quel che stavo scrivendo
dal momento in cui smettevo di scrivere fino a che ricominciavo il giorno dopo.
In quel modo il mio subconscio avrebbe continuato a lavorarci su e intanto io
avrei potuto ascoltare la gente e osservare tutto, speravo; e imparare,
speravo; e leggevo in modo da non pensare al mio lavoro e rendermi incapace di
farlo. Scendere le scale quando avevo lavorato bene, cosa che richiedeva
fortuna e impegno, era una sensazione meravigliosa e a quel punto mi sentivo
libero di andare a spasso per Parigi.
Ernest Hemingway
Festa mobile
Traduzione di Luigi Lunari
Edizione restaurata
Oscar Mondadori giugno 2011
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