Immaginiamo il nostro mondo quotidiano, la nostra
città, la nostra campagna, senza alberi.
D’estate mancherebbero l’ombra, il canto degli uccelli,
i frutti maturi.
In autunno non vedremmo le foglie mutare colore,
volteggiare e cadere a ricordarci che ogni stagione finisce.
D’inverno i rami nudi non ricamerebbero il cielo
sbiancato, la corteccia non risplenderebbe sotto le gocce di pioggia.
In primavera non potremmo contare i germogli, né gioire
dei fiori, né immaginare la stagione feconda che seguirà.
Sempre mancherebbero i rami dove potersi arrampicare,
il tronco dove potersi appoggiare.
Non potremmo misurare l’altezza dei bambini e la nostra
vecchiaia paragonandoci alla grande quercia.
Non potremmo paragonare il nostro dolore a quello del
tronco millenario dell’ulivo che si contorce e abbevera di luce per poi
maturare olive che i nostri frantoi attendono.
Senza le bianche betulle non potremmo sognare le steppe della Russia e Michele
Strogoff, né raccoglierne le foglie a ogni stadio di maturazione per il nostro
primo erbario.
Non potremmo sognare sotto il ciliegio, vedere la
nuvola di petali cadere su Anton Cechov e Murasaki Shikibu e immaginare ogni
fiore trasformato in parole immortali.
Non potremmo respirare l’aria pungente del bosco
invernale, scuotendo i rami dell’abete per far cadere la neve. Né potremmo
decorare un piccolo abete vivo con sfere luccicanti per festeggiare l’arrivo
della stagione fredda dove la notte regna più del giorno.
Non potremmo respirare l’aroma dell’eucalipto sulle
pendici dell’Etna e immaginare Katherine Mansfield giocare alla sua ombra prima
di partire per il Vecchio Continente.
Senza alberi non avremmo costruito le prime case e le
carrozze, non avremmo letti, armadi e librerie. Sempre mancherebbero le scrivanie
dove scrivere le nostre opere, i tavoli dove condividere i pasti, i banchi dove
poter studiare, le sedie dove poter riposare.
Su una di quelle scrivanie è adagiata una risma di
fogli di carta.
Quella carta un tempo era un albero. Quell’albero ha
bevuto la pioggia, respirato il vento, poi è stato abbattuto e tritato,
mescolato, con il nostro lavoro è diventato qualcosa di nuovo. Quella carta che
ora attende le nostre parole, quella carta che era legno, pioggia, terra scura
e lavoro.
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