lunedì 20 agosto 2012

La civiltà degli alberi

Immaginiamo un mondo senza alberi e vedremo un deserto.
Immaginiamo il nostro mondo quotidiano, la nostra città, la nostra campagna, senza alberi.
D’estate mancherebbero l’ombra, il canto degli uccelli, i frutti maturi.
In autunno non vedremmo le foglie mutare colore, volteggiare e cadere a ricordarci che ogni stagione finisce.
D’inverno i rami nudi non ricamerebbero il cielo sbiancato, la corteccia non risplenderebbe sotto le gocce di pioggia.
In primavera non potremmo contare i germogli, né gioire dei fiori, né immaginare la stagione feconda che seguirà.
Sempre mancherebbero i rami dove potersi arrampicare, il tronco dove potersi appoggiare.
Non potremmo misurare l’altezza dei bambini e la nostra vecchiaia paragonandoci alla grande quercia.
Non potremmo paragonare il nostro dolore a quello del tronco millenario dell’ulivo che si contorce e abbevera di luce per poi maturare olive che i nostri frantoi attendono.
Senza le bianche betulle non potremmo sognare le steppe della Russia e Michele Strogoff, né raccoglierne le foglie a ogni stadio di maturazione per il nostro primo erbario.
Non potremmo sognare sotto il ciliegio, vedere la nuvola di petali cadere su Anton Cechov e Murasaki Shikibu e immaginare ogni fiore trasformato in parole immortali.
Non potremmo respirare l’aria pungente del bosco invernale, scuotendo i rami dell’abete per far cadere la neve. Né potremmo decorare un piccolo abete vivo con sfere luccicanti per festeggiare l’arrivo della stagione fredda dove la notte regna più del giorno.
Non potremmo respirare l’aroma dell’eucalipto sulle pendici dell’Etna e immaginare Katherine Mansfield giocare alla sua ombra prima di partire per il Vecchio Continente.
Senza alberi non avremmo costruito le prime case e le carrozze, non avremmo letti, armadi e librerie. Sempre mancherebbero le scrivanie dove scrivere le nostre opere, i tavoli dove condividere i pasti, i banchi dove poter studiare, le sedie dove poter riposare.
Su una di quelle scrivanie è adagiata una risma di fogli di carta.
Quella carta un tempo era un albero. Quell’albero ha bevuto la pioggia, respirato il vento, poi è stato abbattuto e tritato, mescolato, con il nostro lavoro è diventato qualcosa di nuovo. Quella carta che ora attende le nostre parole, quella carta che era legno, pioggia, terra scura e lavoro.


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