mercoledì 31 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/388. L’arcipelago quotidiano dove le isole sono alberi e libri

 



Il viaggio inizia ogni mattina quando la luce è solo un presentimento. Quando apro gli occhi, si oscura il mondo dei sogni e il corpo ritrova tutto il suo peso, la gravità mi colloca in un sopra e un sotto, l’illuminazione notturna della strada, tinge di colori polverosi tutti gli oggetti intorno.

È un viaggio che non ha una sola meta, la notte che tornerà, è un viaggio indeciso tra i rituali quotidiani, una doccia tiepida, un caffè bollente, il lavoro che è rimasto tutta la notte sulla scrivania e non si è concluso grazie a un miracolo o all’opera dei folletti.

Dall’arcipelago notturno, dove ritorno per qualche istante dopo il caffè, mi strappa la luce che irrompe insieme al canto degli uccellini. Un tempo, nelle vie intorno, era tutto un cantare dalla notte sino a giorno inoltrato, il bosco spontaneo, nato sulle rovine della fabbrica De Angeli – Frua, è stato abbattuto proprio trent’anni fa durante un blitz ferragostano mal riuscito e bloccato grazie a una contessa la cui dimora si affacciava proprio su quel luogo incantato. Il quartiere insorse, il progetto del silos per auto con tre piani interrati e sette piani sopraelevati non andò avanti, ma lo scempio del bosco era compiuto. Gli uccellini erano poi ritornati, insieme a molti piccioni che amavano soggiornare sui davanzali delle finestre. Poi ci furono estati feroci e umide, seguite da inverni spietati e la maggior parte di uccelli sparì dal cielo e dagli alberi. Arrivarono poi le cornacchie, la cui voce mi mette i brividi, ma negli ultimi due anni sono sparite pure loro e prima dell’alba ho ricominciato a sentire canti solitari che mi rallegrano. Un tempo, d’estate, mi sdraiavo sul divano che è davanti alla finestra e aspettavo il sorgere del sole e il soggiorno diventava l’arcipelago diurno dove iniziare a tessere le storie. Al posto del silos, incubo metropolitano, qualche altro costruttore geniale, pensò di costruire, anche in questo caso in agosto durante il periodo di ferie, un palazzotto con grandi lucernari per aprirvi un ristorante. La mala abitudine di iniziare i lavori senza permessi, fece sì che i bei muri di mattoni rossi che erano l’ultima rovina della maestosa fabbrica di filati e tessuti, vennero ridotti di oltre la metà e completati con delle inferriate. Solo la cancellata che segnava l’ingresso degli operai rimase intatta e anche gli alberi pluridecennali che segnavano il confine non vennero più toccati. Alla fine il Comune concesse la costruzione di box sotterranei, non di parcheggi, l’allestimento di un modesto, ma gradevole giardinetto con i giochi per i bambini e, la cosa migliore realizzata, la cessione del palazzotto per farne la biblioteca di quartiere, la Biblioteca Sicilia, dal nome della piazza su cui si affaccia il piccolo giardino. Così non ho più avuto gli alberi e le loro foglie, ma libri e libri da sfogliare e prendere in prestito. Nella piccola biblioteca c’erano anche dei comodi tavoli da lavoro dove ho trascorso tante belle ore a studiare e prendere appunti.

Da quando è scoppiata la pandemia non ci si può più fermare a leggere, ma il luogo è comunque un’isola del mio arcipelago quotidiano dove approdo abbastanza spesso.

Il resto del viaggio, o della navigazione, avviene nelle vie del quartiere, dove i passi si espandono in cerchi concentrici e i particolari architettonici delle case si arricchiscono nella memoria. Quando mi stanco di girovagare tra strade e libri, allora me ne torno nella terra delle Montagne della Nebbia e da lì posso andare dove mi pare.

Ogni giorno diventa così un viaggio più o meno incerto e più o meno riuscito. Quel che non è accaduto oggi, potrà accadere domani o domani l’altro. L’importante è non smettere di viaggiare mai con l’immaginazione.

Oggi è mercoledì 31 marzo del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 388, narrativa e non poetica, perché in certi giorni svagati, come oggi, la poesia va covata e la Musa corteggiata.

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