lunedì 29 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/386. Dopo la primavera aspettiamo la seconda primavera, una nuova fioritura

 



Nella penombra la stanza potrebbe essere un giardino, gli scuri lasciano filtrare la luce dorata del mattino, pochi i rumori in strada, per questo sento il canto degli uccellini, ma non quello delle rondini.

Aspetto con più impazienza la primavera ogni anno che passa, forse perché so che sono sempre meno quelle a cui potrò assistere, un pensiero fugace ma presente, non doloroso, perché è una pura constatazione.

Quello che a ogni stagione appena iniziata, tra marzo e aprile, mi fa disperare ogni volta, sono i cambi repentini di tempo, per cui a giornate tiepide e deliziose, punteggiate dai fiori neonati e dai germogli, seguono acquazzoni, tempeste di vento e il risultato è sempre lo stesso: pozzanghere che riflettono il cielo color antracite e i petali strappati che galleggiano nell’acqua e sono riflesso delle speranze cadute una dopo l’altra.

Contemplare la natura è una delle più grandi consolazioni di quest’epoca di pandemia e mi ritrovo a raccogliere foglie e sassi come ho iniziato a fare da bambina, prima ancora di saper leggere e scrivere.

Forse la prima lingua che abbiamo imparato è proprio quella degli alberi e dei rami, del loro netto stagliarsi contro la volta chiara del cielo, dipinti su una carta di riso sottile con pennelli giapponesi, dalla mano invisibile che colora a ogni risveglio il mondo, prima che noi apriamo gli occhi.

La lingua della pioggia è più complicata, perché ha varianti e dialetti che dipendono dall’intreccio con le nuvole, figlie capricciose del vento e del cielo, figlie di due padri celesti e di una madre terra che parla, invece, la lingua scura del fango e del fuoco e svela la sua gemella silenziosa che lavora all’ombra del vulcano sepolto.

Questa mitologia ctonia nasceva nel mio teatro mentale mescolata agli antichi miti greci, la cui narrazione paterna ha accompagnato la mia infanzia.

 

 

Persefone non era figlia unica

 

Gira, sorella il foglio che

hai in mano, lascia che io

guardi il mondo di sopra,

lo sa nostra madre che sono

ancora prigioniera? Che Ade

scherza quando lascia che

tu vada? Ma come potrebbe

lei, la madre, conoscermi

quando sono stata strappata

al suo grembo e condotta

dal vecchio fabbro nel silenzio

delle ancelle e nella rabbia

del re? Lei non ricorda che

siamo due perché non lo ha

mai saputo, non conosce

il patto scellerato che l’ha

orbata di entrambe le figlie.

E ora il re non può rivelare,

pena nuove carestie e siccità,

alla sua amante che il suo

grembo fu fertile due volte,

ma il re degli Inferi ancora

più astuto di tutti gli dei.

Io aspetto solo che tu mi

raggiunga nella stagione

scura, ma se non arrivi

presto, sorella, io fuggirò

e non so cosa accadrà

dopo. Se sarà la primavera

a fiorire due volte, o l’autunno

ancora più gonfio di acque

morte e foglie ingiallite, a

costringere il mondo nei suoi

colori del tempo che è stato.

Ecco che sei partita, principessa

dei germogli, regina di tutte

le rose. Ti seguirò questa volta

perché i tempi hanno bisogno

di una doppia speranza e della

seconda fioritura, gemella di

quella che abbiamo appena

veduto.

 

Così abbiamo scoperto perché la primavera di quest’anno è doppia, doppia la fioritura, doppia la speranza. E anche in cielo pare che siano due gli astri che splendono e i mari si acquietano, accolgono la luna e cullano la luce orfana delle stelle e noi siamo vicini a questa seconda nascita, a questa primavera inarrestabile e invincibile come l’estate che ci portiamo dentro.

Oggi è un lunedì mitologico, il 29 marzo del secondo anno senza Carnevale dove ho conosciuto la gemella di Persefone ma non ho ancora scoperto il suo vero nome. Questa Cronaca 386 è madrina delle gemelle di Demetra, ancora non so quali saranno gli effetti della doppia primavera, forse la pandemia sta scomparendo, forse il virus si sarà stancato e scomparirà, forse domani usciremo e l’aria avrà di nuovo il suo profumo.

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