martedì 9 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/366: un’anima è fatta di fuoco e di cristalli di rocca

 


Era l’otto marzo del 1941 quando Etty Hillesum, un’autrice che mi accompagna da oltre trentacinque anni, iniziò a scrivere il suo diario, la cui prima edizione risale all’autunno del 1985. Era uno dei periodi giovanili di più intense letture e scritture, soprattutto sulle vite degli scrittori e dei poeti, dato che io stessa stavo cercando la mia strada creativa. Leggendo i diari, le lettere, le biografie, le memorie cercavo delle tracce e dei segnali riconoscibili che mi permettessero, a mia volta, di capire se quello che io sentivo come un grande bisogno fosse una vera vocazione o un desiderio narcisistico. Quando ho letto il diario di Etty Hillesum sono stata folgorata: l’ho letto in poco più di un giorno, rubando il tempo a qualunque altra attività, perché già lavoravo e il tempo per me era davvero poco. È un libro che negli anni ho riletto, sia per intero che a brani, più volte e ne possiedo più di una copia perché ci sono stati dei momenti in cui ho sentito il bisogno di rileggerlo senza andare a vedere le annotazioni e le sottolineature della prima lettura, per capire anche che cosa, nei miei sentimenti e nella mia percezione, nel tempo fosse cambiato. La cosa che mi colpì, e che mi colpisce ogni volta che lo rileggo, è che questo diario è la testimonianza di un cambiamento profondo, ma non necessariamente di una maturazione. Quando noi pensiamo alle persone molto giovani pensiamo che siano destinate ad un processo di maturazione. Etty Hillesum, forse per i tempi che ha vissuto, forse perché tutto il suo mondo è imploso nel giro di pochissimi anni, era una donna straordinariamente matura. Matura al punto che, anche se ormai la giovane donna che scriveva queste parole potrebbe essermi figlia, la lettura me la fa sentire straordinariamente vicina. Lei ha vissuto intensamente ed ha voluto rendere testimonianza. Questo è il primo elemento importante nella storia di questa donna. Si è resa conto subito di quello che stava accadendo agli Ebrei in Europa. Si è resa conto perché ha ascoltato le testimonianze che arrivavano, c’erano tutti i segnali che facevano capire – a chi voleva – quello che era il progetto di sterminio della popolazione ebraica europea. Il diario inizia con delle riflessioni molto personali sulla sua vita sentimentale, sui suoi incontri erotici. Lei era nata il 15 gennaio 1914, si era laureata in giurisprudenza, studiava lingue slave all’università e la sua grande passione era il russo, che abbastanza rapidamente iniziò anche ad insegnare. Era figlia di una colta e benestante famiglia ebrea olandese, con due fratelli, Jaap e Mischa, entrambi geniali: uno ricercatore medico e l’altro musicista. Suo padre Luis era un coltissimo studioso, era preside del Liceo dalla cittadina olandese di Deventer dove Etty visse la maggior parte della sua gioventù. Sua madre Rebecca era una donna molto vivace, intelligente, ma particolarmente umorale, che spesso scaricava sulla figlia le frustrazioni della sua vita, in qualche modo, di donna non realizzata. Etty lascia la famiglia quando si laurea e si trasferisce ad Amsterdam. Qui va a vivere a casa di un uomo che lei chiama Pa Han e che diventa rapidamente il suo amante, evento che non impedirà ad Etty di avere una relazione sentimentale anche con il figlio di quest’uomo. Vivevano in cinque in questa casa, dove anche l’altra inquilina, ebbe a sua volta una relazione con Pa Han. Ma tutto questo veniva vissuto con grande spirito di condivisione e di allegria, senza moralismi, senza senso di colpa. Queste cose mi colpirono molto, quando lessi, quando lessi la prima volta il diario di Etty. Quello che accade, quando a mano a mano lei si rende conto degli avvenimenti, di quello che i Tedeschi stanno facendo in Europa agli Ebrei, anziché sprofondare nella depressione o in una rabbia sterile, questo dolore e questo rabbia che lei comunque provava le hanno permesso di scendere in profondità dentro se stessa, nel suo cuore, nella sua anima, e di scavare, scavare per arrivare proprio alle radici, alle radici più profonde di sé ed avere il coraggio di guardarsi per quello che lei era realmente, con la sua debolezza. Lei di questa debolezza si rende conto ma, ad un certo punto, nel diario scrive anche che, proprio perché sa di essere debole, e questa debolezza è la stessa che vede nelle persone che le stanno intorno, lei vuole diventare forte, perché deve essere forte non tanto per se stessa, ma per gli altri, essere forte per gli

altri, dunque è uno dei principi che la sosterranno da quel momento. Questo diario, che è iniziato come un percorso di autoanalisi e di conoscenza di sé, diventa un percorso di testimonianza, proprio perché lei è consapevole di quello che sta accadendo. Non sa se sopravvivrà alla guerra, perché il piano di sterminio dei nazisti è ben chiaro in lei, e quindi decide di tenere questo diario, perché, se anche lei non dovesse arrivare alla fine della guerra viva, qualcuno, anche di sconosciuto, in futuro avrebbe potuto leggere quello che lei stava osservando e registrando, ma non con il piglio del giornalista o del saggista, ma con la forza di una scrittrice, intessendo questa scrittura con le letture che l’hanno accompagnata. Etty era una donna profondamente religiosa, addirittura mistica, ma essere profondamente religiosa per lei non significava appartenere ad una religione o frequentare la sinagoga; leggeva la Bibbia, sia il Nuovo che il Vecchio Testamento, e aveva alcuni scrittori e un poeta, sopra tutti, che sempre l’accompagnavano nel suo percorso di studio e di riflessione quotidiana. Gli scrittori erano Tolstoj e Dostoevskij, che cercava di leggere in russo, più Dostoevskij che Tolstoj, L’idiota, più di tutti gli altri romanzi del grande scrittore russo. Poi le Confessioni di Sant’Agostino, questa è un’altra lettura che lei più volte cita nel diario, e questo poeta straordinario Rainer Maria Rilke, che lei ci restituisce nel diario in maniera estremamente vivida. Tra l’altro, al di là di queste citazioni esplicite che lei fa nel diario tratte dal Libro d’ore, possiamo trovare riferimenti a questo legame tra la Hillesum e Rilke nella prefazione all’ultima traduzione fatta con pazienza e passione, da un carissimo amico, il poeta veronese Lorenzo Gobbi. Spesso Etty, infatti, trascrive citazioni senza indicarne la fonte, essendo le parole degli altri una fonte di ispirazione per la sua vita spirituale, citazioni che Lorenzo ha ben colto. Il Libro d’ore è un libro della gioventù di Rilke, come per la Hillesum gli anni in cui scrisse il diario furono anni della composizione folgorante, anche le poesie di Rilke esprimono la vitalità e lo slancio della giovinezza. Il Libro d’ore venne composto veramente in pochissimi mesi, e quindi c’è anche questa sorta di rispecchiamento e di ricerca, di dialogo ininterrotto con Dio da parte di quella che nel diario si è definita come “la ragazza che non vuole inginocchiarsi”, è lo stesso percorso che Rilke fa nel Libro d’ore. Etty, alla fine - lei non sa che la sua vita sta per finire, lo intuisce ma ovviamente non ne ha la certezza – arriva a dire che Dio è la parte più profonda e più autentica di sé. E questa parte profonda ed autentica di sé, è la parte profonda ed autentica degli altri esseri umani, delle persone con cui lei sta condividendo questa tragedia inimmaginabile. Questo percorso straordinario di cambiamento in Etty avviene non solo grazie alla consapevolezza di quanto sta accadendo intorno a lei, non solo grazie alle letture straordinarie di Rilke, di Dostoevskij e di Agostino, ma anche perché incontra un uomo. Ad alcune persone fortunate capita nella vita di conoscere qualcuno che radicalmente ci permette di cambiare, persone che diventano catalizzatori, persone che ci aiutano a rivelarci a noi stessi, a mostrare di noi quello che non sapevamo di essere o di avere. Quest’uomo si chiamava Julius Spier, era di origine svizzera, molto più anziano di lei: avrebbe potuto esserne il padre, aveva giù più di cinquant’anni quando si conobbero. Era un uomo, anche lui Ebreo, con una vita abbastanza movimentata - tra le altre cose aveva anche fatto il banchiere - e ad un certo punto aveva scoperto di avere un dono straordinario per la lettura della mano, cosa che può lasciare perplessi e far sorridere, però le testimonianze della capacità di quest’uomo nel leggere la mano tra quelli che furono suoi pazienti e sopravvissero alla guerra, raccontano di questa dote incredibile che aveva. Lui conobbe a Zurigo, Carl Gustav Jung, e fu proprio Jung che gli suggerì, dopo che fece un percorso analitico, di unire questo suo dono, quindi questa sua capacità di capire l’anima delle persone leggendo le linee della mano, con un percorso di analisi del profondo. E lui lo fece e ad Amsterdam fondò questo gruppo di studio e di terapia dove conobbe Etty. Julius si innamorò di Etty, all’inizio non furono amanti perché lui aveva già una donna che viveva a Londra, alla quale voleva essere fedele. Etty lo amava, benché continuasse ad avere la relazione con il suo amico e padrone di casa. Nel diario c’è quindi anche questa molteplicità di relazioni amorose. Amando Julius, lei per la prima volta capisce che si può amare senza possedere l’altro e senza volerlo possedere, soprattutto. Questo è un altro cambiamento profondo: l’amore senza possesso, l’amore senza controllo, l’amore senza desiderare che l’altro sia diverso da quello che è. Lei temeva tantissimo il destino delle persone che amava. Scrive in una delle lettere: “Io so di essere in grado di portare il destino che mi attende, quello che io non sopporto, quello di cui io ho paura: di dover sopportare il destino di coloro che amo, dei miei genitori, dei miei fratelli, dei miei amici e soprattutto di Julius”. Julius muore la notte prima che la Gestapo andasse ad arrestarlo, quindi non conoscerà l’umiliazione e l’annientamento del campo di concentramento; questo gli venne risparmiato. Quando Etty seppe che lui stava morendo, il primo uomo, la prima persona che lei, come racconta nel diario, vede morta, le dà un enorme sollievo, perché non voleva che lui dovesse affrontare quello che la sta aspettando. La vita quotidiana, all’inizio degli anni Quaranta ad Amsterdam, prima che i nazisti incominciassero a deportare gli Ebrei olandesi, verso Auschwitz, era una vita di privazioni materiali, ma ancora una vita piuttosto agiata. Uno degli elementi straordinari, in questa giovane donna, è la sua capacità di godimento delle piccole cose della vita, cercando continuamente la bellezza in quello che la circonda. Ci sono diverse descrizioni della sua scrivania davanti ad una finestra, degli alberi numerosi che vede sullo sfondo, di questi piccoli fiori che le vengono donati. Un giorno, addirittura, a una festa un suo amico le regala cinque rose Thea, che osserva quotidianamente fiorire e poi sfiorire, appassire e perdere poi i petali tra i fogli dei suoi libri. C’è il gusto del cibo, di ogni boccone, della cioccolata calda, del pane imburrato, della marmellata, dei pomodori freschi, dell’anguria. Ci sono sempre, in questo diario, straordinarie descrizioni delle cose, della materialità della vita, di quello che la circonda. Altrettanto straordinarie sono le descrizioni delle persone, non solo dei suoi amici, della sua famiglia, che lei a mano a mano che si avvicina alla fine, ci regala. Ad un certo punto, nel luglio del 1942, quando tutta la famiglia pare destinata alla deportazione, tramite degli amici lei riesce ad avere un impiego nel Consiglio Ebraico di Amsterdam. I Consigli Ebraici, che i nazisti istituirono praticamente in tutte le città occupate, furono uno dei più grandi inganni, perché introducendo questo metodo burocratico e spietato di registrazione, classificazione di tutti gli Ebrei, hanno permesso, a noi posteri, di sapere esattamente che cosa i Tedeschi abbiano fatto durante la guerra. Etty, quindi, diventa impiegata al Consiglio Ebraico, passa la giornata a battere a macchina delle pratiche e ogni tanto, però, quando è stanca, si allontana per leggere qualche poesia di Rilke. Questo le permette di rinviare la deportazione per qualche settimana. Ma, quando si rende conto del destino che incombe decide di andare a lavorare all’interno del campo di smistamento di Westerbork che per gli Ebrei olandesi era l’anticamera di Auschwitz.      Ogni settimana al campo di Westerbork c’era la selezione delle persone destinate ad Auschwitz. Etty riesce, per diversi mesi, per oltre un anno, a rimandare la partenza dei suoi genitori e dei fratelli. Amici olandesi le offrirono la salvezza, di nasconderla, di farla scappare, ma lei rifiuta sempre e decide di vivere la sua vita quotidiana definitivamente nel campo. Si allontanerà soltanto tre volte nel corso del tempo; tornerà ad Amsterdam per trovare un po’ di sollievo, non tanto morale quanto fisico, perché Etty soffriva di emicrania, le scarpe rotte le causavano delle vesciche tremende ai piedi, e spesso era costretta a camminare con grande dolore e grande fatica. Questo però non le impediva, all’interno del campo, di correre da una baracca all’altra a dare aiuto, conforto e sollievo alle persone che come lei erano prigioniere; prima di tutto ai suoi genitori, che erano in due baracche diverse, perché gli uomini e le donne erano tenuti separati. Scrive continuamente lettere, cosa che le diventa sempre più difficile, perché dalle quattro lettere alla settimana via via i nazisti le resero ancora più difficili i contatti con l’esterno. E nelle lettere racconta quello che accade e chiede che vengano mandati cibo e vestiti, soprattutto per i suoi genitori e poi per le altre persone che lei conosceva. Perché Etty fa questo? Perché si priva del cibo, perché si priva dei vestiti, perché presta la sua Bibbia? Etty non ha mai fatto carità, Etty non era una persona caritatevole. Gli atti di questa giovane donna sono dettati da un altruismo radicale. Questa definizione di “altruismo radicale” la dà Garlaandt, il curatore dell’edizione olandese di questo diario che ha vagato per circa trent’anni sulle scrivanie di vari editori prima di essere pubblicato. Etty non fa la carità, perché la carità presuppone la condizione di minorità in chi la riceve, in chi viene aiutato. L’altruismo, invece, ci mette sullo stesso piano, ed essendo così radicalmente altruista Etty diventa un modello di comportamento. La sua forza diventa la forza di quelli che le stanno vicino. Quando lascia il campo di Westerbork, nel settembre del 1943, riesce a buttare dalla fessura del vagone che la sta trasportando, una cartolina indirizzata ad un amico. Un contadino la raccoglie e la spedisce. Nella cartolina lei ha scritto: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. Uno degli aspetti veramente importanti nella vita di questa donna, che ci parla con forza immutata a quasi ottant’anni dalla sua morte, è proprio l’esempio, è questo voler essere, come lei dice in uno dei passaggi più belli del libro: “Vorrei essere il cuore pensante della baracca, cioè non dimenticare mai chi sono, non dimenticare mai cosa il mio cuore prova e non dimenticare mai quello che la mia mente capisce”.

Ho riletto il Diario e le Lettere di Etty Hillesum per prepararmi all’incontro “Scrivere con gli altri: Etty Hillesum e le affinità letterarie con R.M Rilke, Lou Salomé, Lev Tolstoj e Fedor Dostoevskij” organizzato con l’associazione “Apriti Cielo” e ho scoperto ancora cose nuove in lei e in me, a partire dalla dimensione mitobiografica di colei che accompagna, una figura fondamentale per me e in me. Leggere Etty Hillesum è andare alla ricerca della propria invincibile estate, è acqua viva per dissetare il proprio giardino interiore.

Il titolo “un’anima è fatta di fuoco e di cristalli di rocca“ della Cronaca 366 di martedì 9 marzo del secondo anno senza Carnevale è una citazione dal Diario di Etty.

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