Voglio ricordarla ripubblicando la voce che le ho dedicato per l'Enciclopedia della donne.
Grazia Livi
Firenze 19 marzo 1930 - Milano 18 gennaio 2015
Nata in una famiglia fiorentina di intellettuali e docenti universitari, Grazia Livi sente in tenera età il richiamo di una vocazione. «Avevo sette anni quando dichiarai in famiglia che volevo diventare scrittrice. Per una serie di coincidenze e di scelte ho poi onorato quel sogno ingenuo, che mi permetteva di salvarmi dai naufragi della sensibilità, mi spingeva a rafforzarmi nella disciplina, mi avviava verso un progetto di indipendenza. La parola scritta ha così dominato la mia vita. Tuttora la domina. Anche se la figura di scrittrice che immaginai da bambina si è trasformata, a causa dei profondi mutamenti sociali: omologazione, potenza dei media, mercato trionfante, globalità; ormai non coincide più con quel ruolo, quel mito. Non esiste più. Al posto di quella figura c’è una donna come tante, la cui particolare inclinazione è di farsi assorbire dalle parole scritte e la cui esigenza è di cercare una sintesi che valga per la conoscenza e per la solitudine». Inizia con questa dichiarazione la raccolta di saggi di Grazia Livi Narrare è un destino. La proclamazione di se stessa come scrittrice è dunque coronata da un’intera esistenza consacrata alla scrittura e dedicata a interpretare e avvicinare il mistero della scrittura femminile.
Dopo essersi laureata in filologia romanza con Gianfranco Contini e avere avuto come maestri anche De Robertis, Longhi, Salvemini e Migliorini, intraprende una vita da donna sposata ma già emancipata, in anticipo sui tempi e con la volontà precisa di «sottrarre la mia identità all’informe destino femmineo». Il lavoro di giornalista e inviata per «La Nazione», «Epoca», «Il Mondo» e «L’Europeo» le fa incontrare alcune tra le più eminenti figure del Novecento, come Le Corbusier, Menuhin, Schweitzer, rimanda solo di poco il confronto con la grande sfida della scrittura, l’esigenza che «le parole mettessero ordine, conferissero un senso, una lucidità, una ragione». L’intensa attività giornalistica finì quando Grazia sentì che era arrivato il momento di “rientrare a casa. La casa del linguaggio e approdo e permanenza... e come scrisse Gianna Manzini a proposito di Virginia Woolf, il problema sarà «imparare a raccogliersi l’anima e a tenerla in fronte come la lampada dei minatori»". La bambina distratta e sognatrice si desta dunque da un sogno lungo una vita ed entra nella realtà della scrittura, nella pagina non più bianca dove la parola scritta regna e rimedia il disordine e le lacerazioni dell’anima. La fame di parole veniva saziata da letture precoci di scrittrici e scrittori che saranno poi i compagni della vita, i modelli e una fonte altissima di ispirazione. La lettura sarà, così come accade per una delle protagoniste di uno dei suoi racconti, un’isola di beatitudine e di pace. Lo studio tenace prima e la concretezza del lavoro di giornalista le diedero parte degli strumenti che, uniti al carattere determinato e all’amore per le parole, le permisero di dedicare la vita alla scrittura. Le tappe della consapevolezza e della maturazione segnano il giro dei decenni. A venti anni «il sogno di diventare scrittrice si radicò in me come una priorità»; passati i trent’anni «capii che dovevo affrontare me stessa, dando ascolto alle mie vere aspirazioni e organizzando i miei talenti». Il primo romanzo Gli scapoli di Londra venne recensito sul «Corriere della Sera» da Eugenio Montale che affermò «che poche donne sanno scrivere come Grazia Livi». Anche il poeta Mario Luzi le scrisse una lettera di apprezzamento che preconizzava «intravedo nel suo lavoro un destino d’artista». Tra gli incontri significativi della sua vita vanno senz’altro ricordati quello con Anna Banti, cui ha dedicato un bellissimo saggio nel libro Le lettere del mio nome. La Banti, altera e tranchant nei giudizi, era un’autorità letteraria riconosciuta, certo non era una donna materna ma amava incoraggiare persone che riteneva avessero valore. Lontana per età e censo dalle rivendicazioni femministe, rimproverava un po’ alla Livi il suo essere femminista, ma fu lei a incoraggiarla a scrivere e le commissionò i primi articoli per la rivista «Paragone» a partire da quello dedicato a Virginia Woolf che la Banti definì “bellissimo”. Tra le tante amicizie importanti ne ricordiamo due anche perché da anni segnano un rapporto di scambio artistico e letterario. Le due scrittrici sono Marisa Bulgheroni, studiosa e traduttrice di Emily Dickinson, e Gabriella Fiori autrice di una bellissima biografia della filosofa Simone Weil e studiosa di Maria Zambrano. La consapevolezza di sé è conquistata anche grazie all’analisi junghiana, leggere un saggio di Jung le diede «un senso di rivelazione. Più ancora dei concetti, mi colpì la dimensione nei quali erano immersi: vasta, feconda gratificante. Sentii un’aria di perennità». Fu così grazie all’analisi che «venni a patti con le mie aspirazioni: nessuna parola scritta avrebbe esaurito la verità tutta intera. Di conseguenza divenni più aperta al lato notturno della vita: ambiguità, contraddizioni. Anche la mia scrittura subì a poco a poco dei cambiamenti. Due almeno mi sono chiari. Uno è il ritmo che si fece più mosso e ondulato, come spinto dall’interno verso l’esterno da un’energia ridestata. L’altro riguarda il lessico che perse certe angolosità e forse si aprì all’ingresso di vocaboli più impuri e polivalenti». Da questa apertura sono nati alcuni dei libri italiani più belli degli ultimi decenni, come Da una stanza all’altra, dedicato a Jane Austen, Katherine Mansfield, Caterina Percoto, Emily Dickinson, Anaïs Nin, Virginia Woolf; Le lettere del mio nome, un romanzo-saggio dove incontra, straordinarie figure femminili, alcune già raccontate nel libro precedente, come Colette, Virginia Woolf, Gertrude Stein, Anne Frank, Gianna Manzini, Anna Banti, Ingeborg Bachmann, Carla Lonzi, Agnes Bojaxhiu. Leggendo Grazia Livi accade che i suoi libri ci parlino dal profondo e profondamente di noi, non tanto di quanto già sapevamo e condividiamo con la scrittrice, ma di quanto non sapevamo di essere e di sapere. Con i racconti del volume Il vento e la moto, una volta di più si sente la sua capacità di suscitare meraviglia. Accettando l’assioma che la vera esperienza è indicibile e il silenzio la sua lingua, in questa indicibilità lei è capace di cogliere il cuore muto e luminoso della verità. Capace di raccontare la verità delle esistenze femminili come pochi altri scrittori contemporanei, Grazia Livi racconta poi gli uomini, figli e padri in particolare, con un lento avvicinamento che rivela la radicale alterità del genere maschile. È con il romanzo Lo sposo impaziente, dedicato a Tolstoj e alla moglie Sof’ia Andreevna e in parte ispirato dai loro diari, che lei narra, con tono febbrile, il viaggio e la prima notte di nozze della coppia, l’atmosfera russa, i tormenti dell’anima, il conflitto tra artista e comunità, la passione della scrittura: «Sentiva un furioso bisogno di annotare, ma temeva di non avere niente indosso per farlo». Per poter parlare di questo grande scrittore Livi è stata in Russia, è partita dai documenti e ha messo in relazione due psicologie per arrivare a dire nell’intimo la realtà di un’anima maschile. Sempre piena di stupore e curiosità sa accogliere con impazienza e generosità le richieste di chi inizia a muovere i primi passi nel mondo della scrittura. E più che raccontarsi fa domande perché ha un interesse genuino nei confronti degli esseri umani. Continua a scrivere, circondata dai libri più amati perché «la parola scritta, ha esercitato su di me un particolare incanto. Questo incanto è stato accompagnato misteriosamente, da una specie di obbligo interno, a cui ho obbedito, negli anni facendo dello scrivere la mia professione. Nessuno mi ha mia chiesto, né imposto di scrivere, tranne io stessa. Anzi le circostanze mi hanno spesso scoraggiata. L’assoluta gratuità di questa mia scelta è l’unico segno della sua necessità». Riservata per quanto riguarda gli aspetti della vita privata, Grazia Livi è stata sposata due volte. La vita di coppia e la nascita del figlio Gabriele non le hanno impedito di raggiungere il destino agognato, essere una donna che scrive. Scrivere «è una continua presenza a se stessi… perché la scrittura non è un altro.. la scrittura è permeata dai miei pensieri».
Dopo essersi laureata in filologia romanza con Gianfranco Contini e avere avuto come maestri anche De Robertis, Longhi, Salvemini e Migliorini, intraprende una vita da donna sposata ma già emancipata, in anticipo sui tempi e con la volontà precisa di «sottrarre la mia identità all’informe destino femmineo». Il lavoro di giornalista e inviata per «La Nazione», «Epoca», «Il Mondo» e «L’Europeo» le fa incontrare alcune tra le più eminenti figure del Novecento, come Le Corbusier, Menuhin, Schweitzer, rimanda solo di poco il confronto con la grande sfida della scrittura, l’esigenza che «le parole mettessero ordine, conferissero un senso, una lucidità, una ragione». L’intensa attività giornalistica finì quando Grazia sentì che era arrivato il momento di “rientrare a casa. La casa del linguaggio e approdo e permanenza... e come scrisse Gianna Manzini a proposito di Virginia Woolf, il problema sarà «imparare a raccogliersi l’anima e a tenerla in fronte come la lampada dei minatori»". La bambina distratta e sognatrice si desta dunque da un sogno lungo una vita ed entra nella realtà della scrittura, nella pagina non più bianca dove la parola scritta regna e rimedia il disordine e le lacerazioni dell’anima. La fame di parole veniva saziata da letture precoci di scrittrici e scrittori che saranno poi i compagni della vita, i modelli e una fonte altissima di ispirazione. La lettura sarà, così come accade per una delle protagoniste di uno dei suoi racconti, un’isola di beatitudine e di pace. Lo studio tenace prima e la concretezza del lavoro di giornalista le diedero parte degli strumenti che, uniti al carattere determinato e all’amore per le parole, le permisero di dedicare la vita alla scrittura. Le tappe della consapevolezza e della maturazione segnano il giro dei decenni. A venti anni «il sogno di diventare scrittrice si radicò in me come una priorità»; passati i trent’anni «capii che dovevo affrontare me stessa, dando ascolto alle mie vere aspirazioni e organizzando i miei talenti». Il primo romanzo Gli scapoli di Londra venne recensito sul «Corriere della Sera» da Eugenio Montale che affermò «che poche donne sanno scrivere come Grazia Livi». Anche il poeta Mario Luzi le scrisse una lettera di apprezzamento che preconizzava «intravedo nel suo lavoro un destino d’artista». Tra gli incontri significativi della sua vita vanno senz’altro ricordati quello con Anna Banti, cui ha dedicato un bellissimo saggio nel libro Le lettere del mio nome. La Banti, altera e tranchant nei giudizi, era un’autorità letteraria riconosciuta, certo non era una donna materna ma amava incoraggiare persone che riteneva avessero valore. Lontana per età e censo dalle rivendicazioni femministe, rimproverava un po’ alla Livi il suo essere femminista, ma fu lei a incoraggiarla a scrivere e le commissionò i primi articoli per la rivista «Paragone» a partire da quello dedicato a Virginia Woolf che la Banti definì “bellissimo”. Tra le tante amicizie importanti ne ricordiamo due anche perché da anni segnano un rapporto di scambio artistico e letterario. Le due scrittrici sono Marisa Bulgheroni, studiosa e traduttrice di Emily Dickinson, e Gabriella Fiori autrice di una bellissima biografia della filosofa Simone Weil e studiosa di Maria Zambrano. La consapevolezza di sé è conquistata anche grazie all’analisi junghiana, leggere un saggio di Jung le diede «un senso di rivelazione. Più ancora dei concetti, mi colpì la dimensione nei quali erano immersi: vasta, feconda gratificante. Sentii un’aria di perennità». Fu così grazie all’analisi che «venni a patti con le mie aspirazioni: nessuna parola scritta avrebbe esaurito la verità tutta intera. Di conseguenza divenni più aperta al lato notturno della vita: ambiguità, contraddizioni. Anche la mia scrittura subì a poco a poco dei cambiamenti. Due almeno mi sono chiari. Uno è il ritmo che si fece più mosso e ondulato, come spinto dall’interno verso l’esterno da un’energia ridestata. L’altro riguarda il lessico che perse certe angolosità e forse si aprì all’ingresso di vocaboli più impuri e polivalenti». Da questa apertura sono nati alcuni dei libri italiani più belli degli ultimi decenni, come Da una stanza all’altra, dedicato a Jane Austen, Katherine Mansfield, Caterina Percoto, Emily Dickinson, Anaïs Nin, Virginia Woolf; Le lettere del mio nome, un romanzo-saggio dove incontra, straordinarie figure femminili, alcune già raccontate nel libro precedente, come Colette, Virginia Woolf, Gertrude Stein, Anne Frank, Gianna Manzini, Anna Banti, Ingeborg Bachmann, Carla Lonzi, Agnes Bojaxhiu. Leggendo Grazia Livi accade che i suoi libri ci parlino dal profondo e profondamente di noi, non tanto di quanto già sapevamo e condividiamo con la scrittrice, ma di quanto non sapevamo di essere e di sapere. Con i racconti del volume Il vento e la moto, una volta di più si sente la sua capacità di suscitare meraviglia. Accettando l’assioma che la vera esperienza è indicibile e il silenzio la sua lingua, in questa indicibilità lei è capace di cogliere il cuore muto e luminoso della verità. Capace di raccontare la verità delle esistenze femminili come pochi altri scrittori contemporanei, Grazia Livi racconta poi gli uomini, figli e padri in particolare, con un lento avvicinamento che rivela la radicale alterità del genere maschile. È con il romanzo Lo sposo impaziente, dedicato a Tolstoj e alla moglie Sof’ia Andreevna e in parte ispirato dai loro diari, che lei narra, con tono febbrile, il viaggio e la prima notte di nozze della coppia, l’atmosfera russa, i tormenti dell’anima, il conflitto tra artista e comunità, la passione della scrittura: «Sentiva un furioso bisogno di annotare, ma temeva di non avere niente indosso per farlo». Per poter parlare di questo grande scrittore Livi è stata in Russia, è partita dai documenti e ha messo in relazione due psicologie per arrivare a dire nell’intimo la realtà di un’anima maschile. Sempre piena di stupore e curiosità sa accogliere con impazienza e generosità le richieste di chi inizia a muovere i primi passi nel mondo della scrittura. E più che raccontarsi fa domande perché ha un interesse genuino nei confronti degli esseri umani. Continua a scrivere, circondata dai libri più amati perché «la parola scritta, ha esercitato su di me un particolare incanto. Questo incanto è stato accompagnato misteriosamente, da una specie di obbligo interno, a cui ho obbedito, negli anni facendo dello scrivere la mia professione. Nessuno mi ha mia chiesto, né imposto di scrivere, tranne io stessa. Anzi le circostanze mi hanno spesso scoraggiata. L’assoluta gratuità di questa mia scelta è l’unico segno della sua necessità». Riservata per quanto riguarda gli aspetti della vita privata, Grazia Livi è stata sposata due volte. La vita di coppia e la nascita del figlio Gabriele non le hanno impedito di raggiungere il destino agognato, essere una donna che scrive. Scrivere «è una continua presenza a se stessi… perché la scrittura non è un altro.. la scrittura è permeata dai miei pensieri».
Fonti, risorse bibliografiche, siti
G. Livi, La distanza e l’amore, Garzanti 1978
G. Livi, L’approdo invisibile, Garzanti 1980
G. Livi, Da una stanza all’altra, Garzanti 1984
G. Livi, Le lettere del mio nome, La Tartaruga edizioni 1991
G. Livi, Vincoli segreti, La Tartaruga edizioni 1994
G. Livi, La finestra illuminata, La Tartaruga edizioni 2000
G. Livi, Narrare è un destino, La Tartaruga edizioni 2002
G. Livi, Lo sposo impaziente, Garzanti 2006
G. Livi, Il vento e la moto, Garzanti 2008
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