A Milano in una polverosa
strada di periferia, via Icaro al numero 15, si erge un condominio abitato da
gente comune. Siamo a cavallo tra il 1972 e il 1973 e in questo piccolo mondo
asfittico di affittuari, lottano senza saperlo molteplici diadi di opposti. Tra
gli altri troviamo l’aspirazione piccolo borghese di Elvira, custode e mamma,
di comprare il bilocale al primo piano, e la vita di fabbrica del papà,
diffidente contro i padroni, le banche e i poliziotti. Un altro contrasto
profondo è quello tra le lingue, i
dialetti degli affittuari e l’italiano da un lato, e l’italiano nativo di Luca
detto Chino, con la lingua inglese che imparerà da Amelia Lynd, la vecchia
signora apparsa all’improvviso nella vita del palazzo di periferia e
altrettanto repentinamente scomparsa. Non lontano da questo condominio di
persone “normali” c’è il Mater
Universa, una struttura dove stanno rinchiuse persone invece profondamente
diverse, matti, deformi, sopravvissuti a incidenti terribili. Ma il contrasto
più profondo è quello tra le vite ignoranti di tutti gli abitanti della casa e
la profonda dimensione intellettuale della Lynd e del figlio Ippolito che
arriverà a vivere in via Icaro dopo la madre. Chino vive sul crinale di questi
mondi opposti, non è più bambino ma non ancora adolescente, le ragazze non lo
attirano, stenta a farsi degli amici perché gli altri ragazzini del cortile
sono rozzi e volgari. Ama le parole e gli incontri pomeridiani con l’anziana
signora, danno una svolta definitiva alla sua crescita interiore e alla
passione per lo studio. Quando Chino aiuta Amelia a svuotare gli scatoloni
iniziano le scoperte: “La Maestra mi informava sulla provenienza di un piccolo
Lalique, mi raccontava la vita di Flaubert o di Cicerone, mi riassumeva i
viaggi di Erodoto, Bouvard et Pécuchet, Middlemarch, Anna
Karenina… Che ore meravigliose!
Mai passati pomeriggi tanto belli, tanto pieni di sorprese…
Delle varie fotografie che
possedeva mi colpì il ritratto di un signore barbuto, molto serio. Le domandai
se fosse suo marito.
“Oh, no”, rise, “quello è
Sigmund Freud!”… La adoravo.
Ogni gesto della Maestra, anche quello di mescolare il latte e le uova e di
girare il cucchiaio di legno nel vecchio pentolino ammaccato, aveva qualcosa di
ineguagliabile, che trascendeva lo stesso gesto e poneva lei al di sopra di
tutte le persone che avevo già conosciuto, fuori da tutte le mappe in cui la
mia vita si era svolta fino a quel giorno”.
Amelia non è solo la
mentore di Chino, ne diventa in qualche modo anche la Musa. Certo non sarà
subito che il ragazzo vedrà i benefici di quegli insegnamenti, ma i semi sono
stati gettati. Le lezioni sorprendenti della Maestra riguarderanno non solo le
parole, ma la professione del giornalista e il senso stesso della democrazia.
Questo bellissimo romanzo di formazione solletica la curiosità del lettore a
cercare gli eventuali risvolti autobiografici e soprattutto ci trasmette una lezione di Nicola Gardini che
come la Maestra è un docente straordinario e ama le parole: le parole non sono
mai perdute, vivono nell’aria, trascinate dal vento, quando le pronunciamo,
vivono annidate nella carta come volpi nella tana, quando le abbiamo scritte.
Per ritrovare quelle di Amelia/Nicola sarà sufficiente riaprire questo romanzo
bello e vero, che si distacca dai nugoli di non-romanzi pubblicati da
non-scrittori che riempiono i talk-show televisivi e i banchi delle librerie.
Si fa fatica a credere che Gardini, che è un vero scrittore, oltre che un
traduttore raffinato e un poeta riconosciuto, non sia entrato con questo libro
in nessuna delle cinquine dei premi letterari più prestigiosi. Anche se la cosa
importante è che lui lo abbia scritto. Per i fanatici, come me, delle parole,
segue una lunga citazione di Amelia che forse è sua o forse di Nicola…
Nicola Gardini
Le parole perdute di Amelia Lynd
Feltrinelli 2012
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