La molteplicità dei significati (sprigionati da quelle che Bachmann, a proposito di Celan, chiama le "luminosissime parole oscure") mette a dura prova il lavoro di traduzione. Bachmann usa le parole sfogliandone i significati stratificati, sventagliandoli sotto gli occhi del lettore. In un'intervista del 1971, a proposito del linguaggio poetico, citava la frase "Ho fatto un prigioniero che non mi lascia più andare via" per spiegare il rapporto che uno scrittore ha con le parole, e, riferendosi alle "frasi prefabbricate", diceva: "Già una singola parola è intessuta di molti enigmi - più si guarda da vicino, più lontano rimanda; allora uno scrittore non può servirsi del linguaggio che è stato già trovato, cioè delle frasi, ma scrivendo, deve distruggerle" (In cerca di frasi vere, p. 142).
Chi si prova a tradurre è indotto di conseguenza allo stesso lavorio di decostruzione, scoprendo a ogni parola quanto nel passaggio da una lingua all'altra poco si acquista e quanto si perde.
Anita Raja che cita Ingeborg Bachmann che cita Paul Celan
in Ingeborg Bachmann: concepire l'indicibile
Concepire l'infinito a cura di Annarosa Buttarelli
La Tartaruga edizioni 2005
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