Quando scrive di getto,
siede per ore e ore in poltrona, con un cartone sulle ginocchia che le fa da
appoggio, un piccolo calamaio inserito nel cartone, un blocco di carta. È così
assorta che i rumori non arrivano fino al suo corpo sprofondato in una vita più
vera della vita: la vita narrante. Solo al pomeriggio risalirà alla superficie
accomodandosi al tavolo e ricopiando a macchina ciò che ha scritto al mattino. Ma
fin quando rimane seduta in poltrona, un guscio l’avvolge. Non vede il cielo
che si ravviva o si oscura a causa delle nubi spinte dal vento, non avverte le
scrollate di pioggia. Non sente la voce di Leonard che telefona, che parla di
manoscritti, che riceve giovani autori. È concentrata sulla psiche, specchio
impuro di tutte le convergenze, di tutte le divergenze. “Spesso ora mi tocca
dominare l’eccitazione, quasi volessi trapassare uno schermo o qualcosa mi
battesse accanto con violenza”. Di nuovo nello spazio astratto della stanza
rischia di perdersi. Jacob ha rappresentato un esperimento troppo, troppo
ventilato. Adesso occorre erigere un argine che contenga la dilagante materia;
occorre adottare un preciso angolo visuale, una unità di misura. Quale? A furia
di riflessione e di concentrazione Virginia finirà con l’identificare quest’angolo
con l’attimo. L’attimo di pienezza, di pregnanza emotiva, (simile all’epifania
joyciana, ma l’epifania ha per Joyce un significato più spirituale che
emotivo), mentre l’argine sarà un’occasione limitata nel tempo: un concerto,
una passeggiata, una visita, un ricevimento.
Virginia Woolf e la sua scrittura raccontata da Grazia Livi
Da una stanza all'altra
Stanza con poltrona
Garzanti 1984
Da una stanza all'altra
Stanza con poltrona
Garzanti 1984
1 commento:
Ho scoperto il tuo blog tramite "Il blog del mestiere di scrivere".
Ho l'impressione che abbiamo molto in comune... :-)
Buona giornata.
Francesca
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