lunedì 21 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/470. Dove le nuvole sono invidiose delle nuvole ricamate

 


Ogni giorno lo stesso cielo, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. Maria “la pisana” aveva visto in paese quegli aggeggi che intrappolavano le immagini in un rettangolo di carta e le sarebbe piaciuto averne uno. Ma poi pensò che su quella carta non rimanevano i colori e lei voleva vederli anche quando non c’erano. Come poteva fare allora? Nell’armadio e nelle cassapanche che erano in camera da letto, c’era tutto il suo corredo tessuto a mano al telaio da sua nonna e da sua madre, lenzuola e asciugamani che non avrebbe mai usato, dato che non si era sposata. Però, ritagliati nelle giuste dimensioni e montati in sequenza, quei rettangoli di lino che avrebbe ricamato, sarebbero stati anche meglio delle fotografie, perché sarebbero stati a colori. Da ogni lenzuolo avrebbe ricavato almeno 120 rettangoli, cioè un quadrimestre di teli ricamati. Non aveva però abbastanza fili colorati e quindi decise di salire in paese con la prima corriera del mattino che passava alle sette. Vestita era già vestita, doveva solo rifare la treccia e arrotolarla poco sopra la nuca e mettersi u’ maccaturi a fiori, che era il più elegante. Alla fermata della corriera c’erano solo altre due donne che andavano in paese e fece con loro quelle chiacchiere semplici da buone vicine che si incontravano di rado. Le piaceva sempre moltissimo guardare dal finestrino, come se fosse stata una bambina e riconoscere via, via, le contrade, ripetere tra sé il loro nome, guardare oltre il Varc’u bufalu verso la Vaddra Sala con sullo sfondo le montagne di Fagnano. Quando la corriera raggiunse il capolinea vicino alla piazza della cattedrale, Maria scese con la sua borsetta di pelle nera ben salda in mano e il cestino in equilibrio sulla testa come facevano tutte le donne. Andò subito nella merceria della famiglia Piccolillo dove si concesse un tempo congruo per scegliere le sete e i cotoni da ricamo. Comprò molto di più di quanto non avesse previsto, ma ne fu contenta. Non erano certo i soldi che le mancavano, lavorava duro, risparmiava quasi tutto, mangiava le verdure del suo orto e le uova delle sue quattro galline. 

In quella mattina di prima estate, tutto scintillava nel sole, il grano maturo cadeva sotto le falci della mietitura e i gelsi erano carichi di frutti ancora trasparenti, che sarebbero diventati color avorio o rosso cupo e che avrebbero fatto la felicità dei bambini, mentre le foglie sarebbero state il pasto dei poveri bachi, innocenti condannati a non vedere mai la luce come farfalle, se non i pochi destinati alla riproduzione. Ma che bella seta che facevano! Ripensava Maria, ai filati che aveva comprato da poco e non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Prima, però, voleva passare da Don Noschero a farsi preparare un panino con la mortadella, un lusso che si concedeva due o tre volte all’anno quando andava in paese. Il panino era buonissimo, proprio come lo ricordava, e poi ci bevve sopra una limonata fresca, appena fatta, piena di cubetti di ghiaccio e che era una vera delizia. Il viaggio di ritorno le fece ripercorrere a ritroso gli stessi paesaggi, un po’ meno brillanti perché la mietitura era avanzata moltissimo e nel giro di un paio di giorni i campi sarebbero stati bruciati e l’odore delle stoppie avrebbe riempito l’aria tutto intorno. Quando arrivò a casa entrò a depositare i suoi acquisti e poi andò nel pollaio per far uscire le galline che andarono subito a razzolarle intorno quando gettò le granaglie per sfamarle. Nei nidi c’erano quattro uova ancora tiepide che raccolse e portò in casa. Dall’orto ritornò con mezza dozzina di peperoni verdi a cornetto, basilico, cipolla e un bel pomodoro grande e maturo. Si sentiva bene Maria, tra gli oggetti e il cibo che avrebbe preparato per il pranzo. Visto che non aveva ancora fame, con molta calma e precisione ritagliò il primo lenzuolo e fermò un rettangolo nell’intelaiatura da ricamo. Decise che avrebbe ricamato il cielo e le montagne di Fagnano e lavorò veloce, con le dita abili che non avevano bisogno di seguire uno schema disegnato, perché le immagini lei ce le aveva stampate negli occhi. Dopo due ore di lavoro alacre era già oltre la metà dell’opera. Era molto soddisfatta di quel che aveva realizzato e non vedeva l’ora di ricominciare. Scacciò dalla cucina la gallina Bianchina che entrava sempre a cercare supplementi di cibo e mise a friggere i peperoni verdi. Che profumino da acquolina in bocca arrivava dalla padella! Tagliò una larga fetta di pane, mise nel piatto di terracotta con le decorazioni verdi il suo pranzo e apparecchiò la tavola sotto il pergolato. Com’era alto il canto delle cicale, chissà cosa stavano cantando. Sapeva che il sonno sarebbe venuto a cercarla proprio a quell’ora, così andò a sdraiarsi sul letto, nella stanza fresca perché aveva tenuto gli scuri chiusi. Si addormentò senza accorgersene e nel sonno sognava di ricamare una donna addormentata all’ombra di una grande quercia. Assomigliava alla sua amica Maria che abitava più avanti, sulla strada che portava al paese.

Ecco che per questa Cronaca 470 di lunedì 21 giugno del secondo anno senza Carnevale, giorno del solstizio d’estate, torno a scrivere una piccola storia calabrese, una di quelle che è venuta a cercarmi senza che io l’avessi chiamata.

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