sabato 12 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/461. Aspettare la notte con le sue scintille di lucciola e stella

 

 


La casa è un rifugio, un covo, un nido. È una caverna, una capanna, un grattacielo, un attico. È un loft, un seminterrato. È nuova e non ha ricordi, è nuova per noi e ha i ricordi di qualcun altro, è vecchia e geme nel vento e sogna sogni mai sognati. La casa non basta a definire chi siamo e chi siamo stati, la casa è immersa in un paesaggio urbano, rurale, marino o montano. Il nostro amore per la nostra casa e i nostri luoghi è un particolare miscuglio di ricordi e passioni, di eredità famigliari e individuali. Una delle esperienze più tristi della vita è svuotare la casa di qualcuno che non c’è più, perché non solo andiamo a toccare oggetti che non ci appartengono e ci parlano della persona scomparsa, e violiamo così l’intimità di qualcuno, ma anche perché quelle case parlano anche di noi e di chi siamo stati in relazione a quelle persone che abbiamo amato. Accade con nonni, zii, con i genitori, ed è tremendo, anche con gli amici benché sia più raro. Anni fa avevo letto che in ogni relazione, non importa di che tipo, la memoria è condivisa tra le due persone, così, quando la relazione si interrompe, per la morte di uno dei due, perché l’amore finisce, perché anche le amicizie finiscono, noi perdiamo anche la parte di memoria che l’altra persona porta via con sé. Così come gli oggetti che non vedremo mai più ma che ancora ci dicono cose su chi era l’altro e su chi eravamo noi. È forse proprio a causa della folle corsa della nostra sfera azzurra da un’eternità verso un’altra eternità, che noi siamo costretti a mutare di continuo, a cambiare pelle come i serpenti, a correre nel tempo che è più veloce di noi, a rinunciare a ciò che siamo stati senza sapere chi potremo diventare. A perdere, come scrivevo in un’altra Cronaca, a guadagnare. Gli oggetti sono davvero i numi tutelari della nostra identità, da quando abbiamo iniziato a disegnare ghirigori sulla nostra pelle, ad adornarci con piume e conchiglie, a costruire i primi manufatti, ci siamo affiancati al misterioso disegno della Natura, di cui facciamo parte, e abbiamo via via modificato il mondo intorno a noi, facendo risuonare al contempo il mondo dentro di noi.

 

 

 

Quando arriva l’estate

 

Se guardo quella collina, sto

guardando tutte le colline del

mio passato, se guardo il mare

con le sue onde, sento tutti

i canti che ho già ascoltato,

ma niente è ripetizione se

non la mia intenzione di

guardare ancora e ancora.

Ogni mattina sorge tutto

nuovo il mondo e io mi cullo

tra le onde e il gelsomino,

in questa estate che è nuova

e anche già vista. E nella luce

bella che ruba colore al miele,

aspetto la notte con tutte le sue

scintille di lucciola e di stella.

 

 

Adoro le sere d’estate, ho parlato della casa perché d’estate è impossibile starci, bisogna uscire, uscire, uscire. E risplendere con le lucciole e le poesia, anticipati nel volo delle rondini

E cullati dal gelsomino che impregna tutta l’aria e la carta di questa Cronaca 461 di sabato 12 giugno del secondo anno senza Carnevale.

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