domenica 13 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/462. Mentre immagino di essere al mare…

 



Nell’infinito gioco degli elenchi e delle liste, che non sono proprio la stessa cosa, tra le mie attività immaginative predilette c’è descrivere i luoghi dove le immagini nascono, dove noi le vediamo e dove vanno a riposare quando noi non le vediamo più.

L’atto del guardare è forse il primo gesto che ci mette in contatto con il mondo; con un meccanismo complesso che dura un tempo infinitesimale, ecco che il nostro cervello costruisce e ricostruisce la visione e la memorizza.

Dunque le immagini stanno fuori da noi e attraverso l’arte noi umani abbiamo escogitato il modo di replicare e conservarne traccia. Disegni e quadri, e in qualche modo anche le sculture, riproducono attraverso la deformazione, la torsione della creatività dell’artista, ciò che c’era intorno. Dall’invenzione della fotografia e del cinema, questi nuovi strumenti capaci di una riproduzione fedele dell’attimo che stava passando, le possibilità si sono moltiplicate.

Da quando abbiamo gli smartphone tutti fotografiamo e giriamo video. Mi colpisce sempre quando vedo gente che osserva gli avvenimenti attraverso il filtro del suo telefonino. Così le immagini non stanno più solo nei musei e nelle gallerie d’arte ma nelle nostre memorie artificiali.

Nel nostro teatro interiore appaiono e scompaiono immagini ricordate, sognate o solo immaginate, ma da dove arrivano tutte queste immagini? Da dove arrivano i sogni? Da dove arrivano le immagini che non ho né visto, né creato? Da dove arrivano le immagini che non mi appartengono? Ma dall’immaginario collettivo, così come formulato da Jung.

Ma perché mi interessano così tanto le immagini? Perché l’arte mi appassiona, perché scrivo, perché le immagini arrivano, quasi sempre, prima delle parole.

Mi interessano le immagini perché posso guardare e riguardare un quadro e ogni volta troverò qualcosa di nuovo e di diverso.

Immaginare i personaggi, le loro fattezze e movimenti, gli abiti, il modo di guardare. E poi immaginare i luoghi, una stanza, tutta la casa e il palazzo intorno, la città con le sue vie alberate e i passanti, i cieli mutevoli, le risa dei bambini, un cane che abbaia. Quando alle immagini immaginate si affiancano i suoni ecco che un mondo nuovo, diverso, prende vita in una pagina bianca, perché poi da queste immagini inizio a scrivere, e a immaginare le relazioni tra i personaggi, i loro pensieri, i loro desideri.

Guardare un quadro a lungo e poi scriverne è un ottimo metodo di iniziare a scrivere, soprattutto quando ci sembra che la nostra Musa sia latitante.

In questi mesi ho avuto modo di riflettere a lungo su questi temi anche grazie al percorso interessantissimo della Bottega di Narrazione, che ho fatto con Giulio Mozzi e Valentina Durante e che si intitola “Immaginare le storie”. È stato come essere allo stesso tempo il mare, un pesce, il pescatore, la barca, le onde, il vento, le nuvole, la spiaggia con la sabbia e i sassi, i gabbiani e il filo dell’orizzonte.

Le immagini sono infinite, come sono infinite le storie. Forse è vero che tutte le storie sono già state scritte e le immagini viste e riprodotte. Quello che cambia, sempre, è il nostro occhio, il nostro sguardo, il nostro punto di vista, il nostro essere collocati in uno spazio-tempo preciso che fa di noi ciò che siamo.

Anche questa è una lista e anche questa è una piccola storia scritta domenica 13 giugno del secondo anno senza Carnevale per la Cronaca 462 e io sono qui, alla mia scrivania, davanti al mio computer, che scrivo mentre immagino di essere al mare.


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