venerdì 18 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/467. Tra la rugiada e il sonno delle rose

 


La solitudine è la condizione umana che meglio si sposa con la poesia che di solitudine si nutre e fiorisce. Nella solitudine e nell’amore per la solitudine affondano le radici della poesia e del poeta, ne sono certa, ma da questa solitudine si promanano rami, foglie, fiori e frutti che sono espressione della tensione del poeta verso il mondo. La poesia è anche la solitudine che cerca una voce e parla al mondo. La poesia è fatta per essere letta nella solitudine, dopo esserlo stata scritta, ma il desiderio è quello di cercare, con lievi e invisibili tentacoli, le solitudini degli altri e di farle parlare. La solitudine del poeta non è auto-referenziale, è una solitudine in cerca di compagnia, di condivisione, non tanto per eliminarla, ma per affiancare un senso collettivo al senso personale e singolare di chi. nella solitudine sta per scelta e fiorisce per necessità. Dall’incontro del mondo con la solitudine nasce poesia, come se solitudine e mondo fossero antichi dèi e ninfe che hanno bisogno l’uno dell’altra per poter creare. E così è infatti, è dall’incontro e dal “matrimonio” degli opposti che scaturiscono l’essere e la poesia. Non sappiamo mai prima cosa potrà scaturire dal nostro incontro con il mondo e con l’Altro da noi. Ci sono incontri fortunati che favoriscono queste fioriture e noi ne beneficiamo come se fosse la cosa più semplice e naturale. Allora la solitudine, avvolta nel suo bozzolo di silenzio, può avventurarsi nei territori sconosciuti dell’Altro, porgere i propri doni e accettare i doni che ci vengono porti. Dal bozzolo di silenzio emerge così quella dimensione sonora della solitudine, così come la canta San Giovanni della Croce, e il nostro stare al mondo in veste di poeta, sboccia e raggiunge la piena maturità, quella condizione che ci fa intravedere la direzione giusta per noi, che ci fa riconoscere la poesia negli scritti degli altri e ci fa navigare in quel mare dove parole e silenzio si alternano in un gioco di vuoto e pieno che rammenta il suono delle onde in un giorno di calma di vento.

 

 

 

Il giardino dove fiorisce il silenzio

 

Cosa possiamo cantare che già

non lo sia stato? Cosa resta

a noi che arriviamo aggrappati

alla coda del tempo? Le stelle

si sbriciolano come le antiche

porcellane e nessuna voce

resiste nel coro del vento, ma

noi continuiamo ignorando

le regole del canto e delle

opportunità, perché la nostra

voce possa oscillare tra questa

solitudine e il silenzio che inseguiamo

dentro ancora prima che oltre noi.

Così oscilla questo equilibrio tra

noi e il tempo, tra l’essere vicini

e troppo lontani, così oscilla questo

silenzio e noi lo vediamo germinare

ogni mattina, tra la rugiada e

il sonno delle rose in fondo al

giardino, in fondo all’alba che

ancora non ha, le sue dita rosate.

 

 

Questa giornata calda d’estate, venerdì 18 giugno del secondo anno senza Carnevale, ha chiesto poesia e la poesia è arrivata per accompagnare questa Cronaca 467 che si adagia all’ombra delle rose e mi culla con la sua voce lieve, mentre la notte è ancora un mistero di cui oggi non scriverò.

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