giovedì 10 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/459. Dove la gioia irradia luce mentre passeggiamo in riva ai Navigli.

 



Veniamo al mondo nudi, indifesi e ciechi, senza poter parlare. Piangiamo tantissimo per farci capire, sorridiamo e lalliamo. Resteremo a lungo affidati alle cure degli adulti, soprattutto a quelle materne. Portiamo in noi un’eredità genetica di cui non siamo né consapevoli, né responsabili. Intrecciamo relazioni, assorbiamo l’ambiente che ci circonda, impariamo in ogni istante. Il tempo è infinito durante l’infanzia, ma è l’unica fase della nostra vita in cui siamo esseri fuori dal tempo. Per ciascuno di noi è molto diverso il momento in cui entriamo nel tempo, diventiamo, cioè, consapevoli che il tempo esiste e ci governa. Forse è il corpo il primo a saperlo, quando inizia a cambiare grazie alle tempeste ormonali che si scatenano nella pre-adolescenza. Ma il nostro essere nel tempo, quando siamo adolescenti, non è ancora il momento della consapevolezza della nostra finitudine. Gli adolescenti sono eterni, eterna è la giovinezza, la maturità è la vecchiaia sono eventi che accadono agli altri, non a noi. In queste prime e brevissime fasi della vita, ogni giorno erigiamo palazzi, seminiamo campi e attraversiamo terre sconosciute. Gli unici a capirci sono i nostri coetanei e qualche adulto illuminato che non ha dimenticato la propria adolescenza. Oltre agli adulti della propria cerchia familiare, sono soprattutto gli insegnanti che ci insegnano a stare nelle relazioni, che ci offrono competenze, risposte e molte nuove domande da esplorare insieme. Continuiamo a imparare ogni giorno cose nuove senza neanche accorgercene. Impariamo l’alfabeto delle emozioni e quello del corpo, che parla una lingua universale. Il futuro è vasto e meraviglioso, anzi è infinito e pieno di gioia. Poi finiscono le scuole superiori, i più fortunati, dotati e volenterosi vanno all’università, gli altri a lavorare. Questo è quello che accadeva nelle vite di noi baby boomer, la generazione più fortunata della storia dell’umanità, almeno così ci piace pensare, quelli che hanno avuto tutte le opportunità e le hanno sfruttate: studiare, viaggiare, lavorare e smettere quando se ne aveva voglia, andare a vivere da soli ancora molto giovani. Ricordo che quando ho trascorso un’estate in Svizzera a studiare letteratura francese all’università di Losanna, ero l’unica poco più che ventenne che viveva ancora in casa con la famiglia d’origine e tutti i miei nuovi amici e amiche se ne stupivano. E poi? Come accade che si entri nella maturità e si inizi a guardare il mondo con occhi diversi? Parto di nuovo dalla mia esperienza individuale per cercare di trarne ispirazione per formulare leggi “universali”. Si entra nella maturità quando ai guadagni e all’espansione del respiro verso il futuro, si affiancano le perdite: il proprio corpo che inizia ad avere i segni del tempo, la scomparsa di persone care, di solito i nonni e gli anziani della famiglia, quando si affievoliscono i legami con i compagni di scuola. Nessuno di noi è veramente preparato alle perdite che la vita ci infliggerà, all’inesorabile trascorrere delle giornate che si faranno tutte molto simili e poco avvincenti. Il lavoro, soprattutto se sarà un lavoro non molto interessante e non molto amato, sarà causa di grande afflizione. Ma anche a questa afflizione esiste un rimedio che è frutto della maturità e della consapevolezza, cioè la capacità di prenderci cura delle persone, dei luoghi e degli oggetti. Se è intuitivo pensare alla cura degli oggetti, mantenerli in buone condizioni d’uso, preservarne la bellezza e la trasmissione alle generazioni future, avere cura del paesaggio e dei luoghi è ancor più complesso e difficile. Se riusciamo a curare la nostra casa, per avere cura dei luoghi e dei paesaggi bisogna che entrino in gioco forze e intelligenze collettive che abbiamo una visione d’insieme. E qui entra in gioco la dimensione politica della vita, dove sono necessarie persone appassionate e competenti. Abbiamo visto in anni recenti i disastri fatti da politici improvvisati. Per quanto riguarda la cura delle persone, a partire da noi stessi, dei corpi e delle anime, il processo è delicato, continuo e necessita di passione e di compassione, di capacità di ascoltare e di donare, di amore per le persone a partire da quelle più vicine a noi, di amore per le loro storie, perché dare un senso al nostro vissuto attraverso la narrazione della nostra vita, soprattutto in forma scritta, può diventare anche un percorso di terapia e di auto-terapia. Declinando il nostro personale Alfabeto della Cura impariamo ad accettare le perdite, che sono inevitabili e fanno parte della nostra natura umana, e costruiamo giorno per giorno quella ricchezza che trasmette gioia irradiata da noi stessi e che su noi stessi ritorna. Così perdite e guadagni, anche se non mi piace molto questa contabilizzazione dei sentimenti, scorrono in noi e attraverso noi e ci permettono di guardare al passato senza nostalgie e rimpianti e ci aiutano a stare nel tempo presente, quello che smette di essere tale respiro dopo respiro, parola dopo parola. Oggi è stata una bella giornata estiva anche nella mia amata città non più silenziosa, in questo giovedì 10 giugno del secondo anno senza Carnevale, dove ho condiviso il tempo con la mia adorata amica Rossana, a zonzo sui Navigli, come amiamo fare d’estate e come anche questa Cronaca 459 ricorderà.

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