martedì 27 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/415. Guardare nel tempo, mentre il tempo ci guarda

 

 


 

Di tanto in tanto apro il cofanetto dove custodisco vecchie fotografie, a partire da quelle in bianco e nero dei miei genitori e che risalgono alla loro adolescenza negli anni Cinquanta. La tenerezza che provo è immensa, cerco di ricordare i loro racconti, mi commuovo sempre più man mano che procedo nel tempo e arrivo agli anni Sessanta, dalle fotografie in bianco e nero di famiglia, parenti vicini e lontani, amici, compaiono le prime polaroid che hanno ormai assunto quella patina azzurro-arancione che le contraddistingue. Ci sono poi alcune foto che ho scattato io a partire dagli anni Settanta fino a pochi anni fa, quando ho smesso di stampare le foto e ho creato confusi archivi digitali che di rado vado a sfogliare. Le fotografie mi hanno sempre incantato, soprattutto quelle in bianco e nero, come se questi colori fossero gli unici ammessi per il passato, e forse è così. Quando mi è capitato di guardare fotografie e vecchi documentari che sono stati colorati, lo spiazzamento è sempre stato enorme.

Le foto raggruppate nel cofanetto sono quelle per me più significative e più care. Prima o poi dovrò decidere che farne di tutte le altre, interessano solo me, comunque, e non vorrei che finissero gettate accanto a un bidone della spazzatura per strada, come è accaduto a un album di fotografie di un matrimonio degli anni Sessanta, qui a Milano, poche settimane fa. Forse bisognerebbe creare un archivio nazionale anche per gli album fotografici in analogia a quello esistente dei diari nella cittadina di Pieve Santo Stefano. Il passato familiare e collettivo racchiuso nelle vecchie fotografie ha, secondo me, molto più senso degli album sui social. Quando sono andata a Pavia a vedere la mostra di Vivian Maier mi sono commossa fino alle lacrime, quanto storie in ogni fotografia. E con lei ho sempre amato altri grandi fotografi del passato come Henri Cartier-Bresson, Man Ray, Robert Capa, Robert Doisneau, Eduard Boubat William Claxton, W. Eugene Smith, Alfred Stieglitz, Ansel Adams, ecc. ecc. che se continuo non faccio altro che duplicare liste facilmente reperibili in rete, quindi mi fermo qui.

Amo le vecchie fotografie soprattutto perché i selfie, che si chiamavano autoscatti un tempo, sono rarissimi e la nostra immagine ci ritorna mediata dallo sguardo di qualcun altro, molto spesso un genitore e poi amici e amori. Ogni fotografia ci suggerisce un punto di vista, un paesaggio, uno sguardo e una storia. Per questo ho comprato in sperduti mercatini di provincia fotografie in bianco e nero che appartenevano a famiglie estinte. Mi è sempre piaciuto immaginare storie a partire dalle vecchie fotografie scattate da sconosciuti che tali resteranno per sempre. Le fotografie dei grandi fotografi sono ciascuna un racconto in una infinita antologia.

 

 

 

Ogni immagine è un mistero

 

Non hai voce, non hai colore,

sei solo un’immagine fissata

per sempre a un istante, a

quella carta, a quello sguardo.

Nessuno svelerà il tuo mistero,

quel mistero che noi presumiamo

perché il tempo ti tiene ancora

tra le braccia e ti guarda, come

sto facendo io.

 

 

Voglio ringraziare Valentina Durante e  Giulio Mozzi per le infinite sollecitazioni e idee che zampillano durante i loro incontri dedicati proprio a Immaginare le storie, il cofanetto delle mie fotografie si è improvvisamente animato e mi ha chiamato a iniziare una nuova strada. Così sfoglio e immagino in questa Cronaca 415 di martedì 27 aprile del secondo anno senza Carnevale.


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