lunedì 12 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/400. Ascolto solo il vento e questa pagina che canta

 


In questa giornata siamo chiusi in un bozzolo di freddo che ha inglobato la primavera. Il freddo ritorna nelle case come un padrone e noi siamo povere cose dimenticate sul tavolo: una tazza di tè vuota, le sigarette spente, la rosa reclinata nel suo vaso. Capiamo così che per resistere al tempo bisogna allearsi con gli oggetti, solo così manterremo intatto il nostro significato. Nel gelo solo i libri danno consolazione, anche se ormai sappiamo che è un sollievo temporaneo, che solo il ritorno del sole ridarà senso a questa giornata. Ma piove e il tempo accorcia la nostra fiamma, la casa non è più un riparo, ma un tormento.

Così esco sotto la pioggia, esco senza ombrello perché la pioggia mi renda più vera. Le gocce scendono rade, il vento è sceso, in quale golfo sul mare si è rifugiato? Quando sono arrivata a una buona distanza da casa, la pioggia decide di ricominciare a tormentare le strade, ma io non mi oppongo. Perché oggi il nome è pioggia, oggi il mio nome è vento e io devo assecondare quel che accade e non oppormi alla loro forza.

Cammino leggera, senza peso, senza ricordi. Anche gli oggetti sul tavolo sono spariti, così posso fermarmi a comprare il pane appena sfornato, i pomodori verdi, e tulipani rossi e gialli da mettere sul tavolo al posto della rosa. Dispongo sul tavolo i pomodori e il pane, i fiori sono tanti, così riempio un secondo vaso che porto nello studio e ora il quadro è completo, potrò avere nostalgia di questo presente mentre sarò altrove, a camminare sulle rive del fiume.

Esco di nuovo e la pioggia di nuovo si è acquietata, varco così il confine tra la città silenziosa e la terra delle Montagne della Nebbia. Non piove e non fa freddo, ma il cielo è basso. Arrivo sulla riva del fiume e so che devo guadarlo oggi, non arriverò sino al ponte. Lascio gli abiti sulla riva comune e mi immergo nell’acqua fredda. Nuoto con bracciate distese e dopo poco mi accorgo che tocco il fondale. Mi alzo, rabbrividisco e mi incammino verso la Casa delle Parole dove trovo la Sacerdotessa seduta accanto al camino. Non mi chiede nulla, va a prendere un grande asciugamano e me lo avvolge intorno alle spalle. Sul tavolo della cucina ci sono tulipani rossi e gialli, pomodori verdi e pane fresco. Ogni accadimento nella città silenziosa è speculare a un accadimento in questa terra. Sono io che tengo uniti questi due mondi, sono io che nutro il mio immaginario in un luogo e lo riverso nell’altro. Dopo essermi asciugata al calore del camino, vado nella mia stanza a vestirmi. Non so dove siano i miei coinquilini, ma non ho bisogno di parlare questa sera, preferisco cercare nello specchio quell’ombra che non mi abbandona, quel sogno che non dimentico mai. Torno in cucina, metto sul fuoco una zuppa, lego i capelli. Sono da sola nella stanza adesso, strappo le foglie di rosmarino e basilico e le aggiungo alle verdure, lascio che il silenzio si insedi nella casa, uccello notturno senza voce che richiama i sogni fino al suo nido. Ora posso sedermi al tavolo e accogliere la notte. Apro il taccuino, inizio a scrivere per la quattrocentesima volta l’incipit di una Cronaca. So quante ne ho scritte, non so quante ne scriverò, lo deciderà la vita che continua e splende nonostante questo sia il secondo anno senza Carnevale. Il commiato della quattrocentesima sera è una poesia nuova scritta apposta per farci compagnia.

 

Il silenzio nello specchio

 

Lo specchio non chiama il silenzio,

non abitano la stessa dimensione,

mai l’abiteranno, lo specchio è

vuoto come l’aria, tutto tace e

nessuno si mostra. Sposto i fiori

davanti allo specchio, raddoppia

il colore, ma la grana del silenzio

è uguale solo a se stessa. Posso

ascoltare il rumore della penna

e seguire il ritmo, il silenzio non

ne soffre, le parole si gonfiano,

sono le vele al vento della mia

immaginazione, salpo, prendo

il largo. Ascolto solo il vento e

questa pagina che canta.

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