venerdì 9 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/397. Nell’estate invincibile danzano le metafore



Il silenzio non esiste se non come luogo dell’immaginazione e della creazione. Il mondo e l’universo sono rumorosi, la realtà è una fitta tessitura tra onde luminose e onde sonore. Quel che di solito chiamiamo silenzio è l’assenza di rumori umani, delle nostre voci, dei nostri passi. Accogliamo come naturali, e in qualche modo facenti parte del silenzio, le voci degli animali e quelle create dal vento: le onde, gli alberi, i temporali, la pioggia che cade. Ma l’idea di silenzio è una condizione necessaria che guida e sostiene tutti gli atti creativi. Nei quadri resta l’eco dei pennelli, lo strisciare dei colori, nelle sculture lo scalpello e la caduta della pietra. Restano forti i suoni della tessitura, dell’acqua impastata con la farina che diventa pane, del fuoco che crepita, scoppietta, danza, divampa e brucia o cuoce. Il silenzio è come la luce, bianco perché contiene tutti i suoni e i rumori del mondo, basta un minimo scarto che ne escono zampillanti espressioni sonore. Il silenzio e la poesia sono strettamente connessi e grazie alla presenza o assenza dell’uno possiamo fare esperienza dell’altro. È un nido il silenzio, dove uova misteriose vengono covate da esseri invisibili. Ogni tanto nasce una poesia, creatura altrettanto misteriosa che strappa la trama dell’universo sensibile e intellegibile e ci propone un modo nuovo di stare al mondo, una diversa interpretazione di quella che chiamiamo realtà. La poesia è una continua sfida al silenzio ma ne è figlia come tutte le voci e i rumori del mondo. La poesia, le narrazioni, si allontanano dal silenzio e costruiscono e ricostruiscono, emozioni, sensazioni, percezioni, e le restituiscono al mondo con l’uso della parola scritta. La nostra è una civiltà che affonda le proprie radici nella parola scritta in maniera più potente che riferendosi alle sole immagini. Con le immagini la trasmissione è di sicuro più immediata, le emozioni sono garantite, chi non si emoziona davanti ai bei tramonti, ai bambini paffuti, ai gattini e ai cuccioli? Ma l’emozione da sola non basta, ci vuole un passaggio ulteriore per dire o non dire quello che abbiamo provato o che vorremmo avere provato. Se l’emozione è la testimonianza di un fatto accaduto, la scrittura e la poesia lo sono anche di fatti non accaduti, di cose desiderate, di improvvisazioni e di illuminazioni. Ciò premesso, ho iniziato a leggere poesie a sette anni con il Livro de poemas di Federico Garcia Lorca, un libro regalatomi da mio padre, che lessi subito, di cui non capivo le metafore, ma che ho amato follemente e che non mi hai mai più lasciato. All’epoca si imparavano a memoria le poesie e da brava scolara non mi sottraevo a questo compito. Ci sono però voluti i quindici anni, quasi sedici anni, per scrivere la prima poesia dedicata all’arrivo della primavera. Da allora non ho mai smesso e sono sempre andata in giro con un taccuino o un quaderno per scrivere. Scrivo sempre, tutti i giorni, seguo le illuminazioni, lascio che i versi mi accompagnino per tutto il tempo che vogliono, me li ripeto nella testa, poi scrivo seguendo il flusso interiore e intervengo poi per variazioni e cesellature. Quando so che una poesia è terminata? Quando la rileggo e non mi sembra più mia ma scritta da qualcun altro. Ho scritto per decenni in solitudine, confrontandomi solo coi poeti dei libri che amavo: Montale, Ungaretti, Quasimodo, Luzi e poi Baudelaire, Verlaine e Rimbaud per restare tra i classici. Poi gli incontri, prima coi loro libri e poi con le persone, che mi hanno condotto alla pubblicazione dei primi due libri: Danilo Bramati, che ha scelto con Giancarlo Pontiggia, Il calvario della rosa per la pubblicazione nella loro collana che curavano per l’editore Moretti&Vitali, Milo De Angelis che ne ha scritto la presentazione, Antonella Anedda che ha scritto la postfazione al secondo libro Sillabario della luce. Grazie al Calvario ho conosciuto a Milano, dopo una sua lectio magistralis, il poeta francese Yves Bonnefoy con il quale ho avuto uno scambio di mail, lettere e libri con dedica. Nel mio primo libro Le poesie di Bonnefoy lo chiama in causa come una sorta di nume tutelare e tale è rimasto e rimarrà per sempre perché amo la sua poesia. Le altre passioni sono rivolte a Philippe Jaccottet, Paul Celan, Rainer Maria Rilke, Sylvia Plath, Anne Sexton, Adrienne Rich, Adam Zagajevsky, Olav H. Hauge, Mark Strand, J.L. Borges, Marina Cvetaeva, Osip Mandelstam, Attilio Bertolucci, Emily Dickinson, Nathan Zach, Nina Cassian, Raymond Carver, Cesare Pavese, Valerio Magrelli, Wislawa Szymborska, Derek Walcott, Ted Hughes, Henrik Nordbrandt, Fernando Pessoa, Seamus Heany, Leonard Cohen,  Louise Gluck, Marianne Moore, Anne Michaels, Anne Carson e qui mi fermo per non diventare una specie di elenco telefonico.

Oltre a essere grandi poeti sono diventati negli anni anche grandi amici: non posso non ricordare di nuovo Danilo Bramati, Antonella Anedda e Milo De Angelis. E poi, Lorenzo Gobbi, Annalisa Manstretta, Edoardo Zuccato, Camilla Miglio, Giancarlo Montedoro, Nicola Gardini.

La poesia è per me una grande fonte di gioia e di speranza. Anche per questo credo che le mie Cronache dagli anni senza Carnevale, e questa è la 397, sono tutte intessute di poesie inedite. Non so quante ne ho scritte, credo almeno un centinaio, e mi piace immaginare ogni poesia come quella traccia di colore improvviso, non importa se arancione, rosso o violetto, che irrompe nelle albe e nei tramonti che abbiamo la fortuna di poter contemplare, qualcosa di memorabile è accaduto e noi lo abbiamo visto. La poesia è così anche una testimonianza del nostro essere al mondo, del nostro non volerci rassegnare al dolore e alla scomparsa. La poesia può avere anche una funzione terapeutica, ma non si scrivono poesie per stare bene. Lo stare bene può essere una conseguenza, per me non è lo scopo principale. Diverso è per la lettura della poesia, perché leggere poesia aiuta nella vita quotidiana a reggere i fardelli, a dare un senso alle nostre giornate. Quando leggo poesia, mi lascio trascinare dai versi e la loro bellezza la sento fin nelle ossa. Quando la scrivo mi fido della Musa e del mio orecchio interiore e cerco quel delicato equilibrio tra ritmo, forma, immagini e metafore, parole e sillabe. Servono tutte per fare buona poesia, ma il rapporto tra loro risponde a regole matematiche impossibili da spiegare, che però riconosciamo al volo.

Questa sera, venerdì 9 aprile 2021, ho presentato, online, Un’estate invincibile alla biblioteca di Borgosatollo, un incontro davvero bello e intenso di cui ringrazio Giancarlo Covella e Daniela Simone.

1 commento:

Daniela Simone ha detto...

È stato un immenso piacere averti ospite. La bellezza della poesia ci ha regalato una serata davvero intensa.