Non so
cos'ero venuto a cercare a Santa Cruz, quel giorno. Ma quello che trovai lì mi
andò bene. La quiete. Forse perché mi era bastato chiudere gli occhi perché il
paesaggio mi entrasse dentro fino a diventare mio. Allora ho capito che sarebbe
rimasto in me ovunque fossi andato. Ho capito dopo, in altri porti, in altre
città di questo Mediterraneo, che sarebbe stato sempre così. Che quello che
avevo scoperto non era il Mediterraneo preconfezionato che ci vendono i
mercanti di viaggi e di sogni facili. Quello che offriva, che mi offriva il
mare non era nient’altro che una felicità possibile. Di sicuro, anche altrove
sarebbe stato sempre così. E così, nel corso degli anni, mi sono creato una
geografia delle felicità possibili. In questa geografia rientra Biblo. Yazid,
un pescatore incontrato al porticciolo, mi aveva raccontato la leggenda di
Adone. Una leggenda fenicia. Il primo giorno di primavera, Adone morì alle
sorgenti del fiume che oggi porta il suo nome, fra le braccia di Astarte. Il
suo sangue fece nascere gli anemoni e tinse di rosso il fiume dalle acque
ferruginose. Allora le lacrime di Astarte caddero a pioggia sulla natura al
risveglio, e ridiedero vita all'amante. Un tempio ai piedi della grotta di
Afqua, innalzato dai fenici, le rende omaggio. Ero venuto a vedere proprio quel
tempio. Un tempio dell’amore. Della fedeltà. Ero solo.
Jean-Claude Izzo
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012
2 settimane fa
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