Passavo
per via Margutta, un mattino di primavera, l’anno scorso. Andavo a un piccolo
stabilimento di doppiaggio, che ha la sua sede in uno di quegli antichi cortili
tra le pendici del Pincio e la via Margutta: improvvisi spazi tranquilli dentro
l’agitata complicazione di muri scale ringhiere case e casette. Mezza sole e
mezza ombra, via Margutta era nell'ora più allegra della giornata, le undici.
Varcato il mezzodì, già la ruota gira. È vero che, quasi per fermarla, i romani
ritardano il pasto e prolungano il mezzodì fino alle due e più in là. Ma l’ora
più allegra resta sempre le undici. Passavo tra le botteghe degli artigiani,
fabbricanti di cornici, falegnami, una piccola officina di riparazioni
meccaniche che probabilmente era succeduta a un antico fabbro, una mescita di
vino, una stireria. Gli operai lavoravano anche sulla strada, tutta ingombra
dei loro attrezzi e di automobili e motociclette al posteggio. E lavoravano,
pareva, lietamente, picchiavano con esagerato fracasso su legni e lamiere; si
chiamavano l’un l’altro, qualcuno cantava. Camminando, rallentavo come per
raccogliere un po’ di più di quella gioia, prima di arrivare allo stabilimento.
Là mi attendeva il mio lavoro.
Mario Soldati
Le lettere da Capri
Garzanti 1954
2 settimane fa
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