sabato 14 novembre 2015

quando si scrive non si può mai essere abbastanza soli, quando si scrive non si può mai avere abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco notte

Scrivendo ho fatto di nuovo tardi, mia cara, è l'una di notte. Mi ritorna sempre alla mente il dotto cinese. Ma purtroppo, purtroppo, non è l'amica a svegliarmi; soltanto la lettera che le voglio scrivere. Una volta mi hai scritto che vorresti starmi vicino mentre scrivo, pensa però che non potrei scriverti (non posso neanche molte altre cose), ma scrivere non mi sarebbe possibile. Scrivere significa aprirsi fino all'eccesso; l'estrema sincerità e dedizione in cui uno crede già di perdersi ai contatti umani e pertanto, fin che è in sé, cercherà sempre di evitare - poiché ognuno vuol vivere intanto che vive -, questa sincerità e dedizione non è neanche lontanamente sufficiente per scrivere. Ciò che da questa superficie si trasporta nello scrivere - se non si può altrimenti e le fonti più profonde tacciono - non è nulla e crolla nel momento in cui il sentimento più vero fa traballare questo suolo superiore. Perciò quando si scrive non si può mai essere abbastanza soli, quando si scrive non si può mai avere abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco notte. Perciò non si può mai avere a disposizione abbastanza tempo perché le vie sono lunghe ed è facile deviare, talvolta ci si angoscia perfino e senza essere costretti o invitati vien voglia di tornare indietro di corsa (voglia in seguito sempre severamente punita), quanto più se si ottenesse improvvisamente un bacio dalla bocca più cara! Ho già pensato più volte che il mio miglior tenore di vita sarebbe quello di stare con l'occorrente per scrivere e una lampada nel locale più interno d'una cantina vasta e chiusa. Mi si porterebbe il cibo, lo si poserebbe sempre lontano dal mio locale dietro alla più lontana porta della cantina. La strada per andare a prendere il pasto, in veste da camera, passando sotto le volte della cantina, sarebbe la mia unica passeggiata. Poi ritornerei alla mia scrivania, mangerei lento e misurato e riprenderei subito a scrivere. Chissà quali cose scriverei! 
Da quali profondità le farei sorgere! Senza sforzo, perché l'estrema concentrazione non sa cosa sia lo sforzo. Salvo che forse non lo potrei fare a lungo e al più piccolo fallimento, non evitabile nemmeno in queste condizioni, finirei in una grandiosa pazzia. Che ne dici, cara? Non ritrarti dall'inquilino della cantina!

tra il 14 e il 15.1.1913

Franza Kafka
Lettere a Felice
1912-1917
raccolte e edite da Erich Heller e Jurgen Born
tradotte da Ervino Pocar
I Meridiani Mondadori 1972

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