È una cosa curiosa: la vita che conduciamo ci
consente solo di rado di fermarci a riflettere su ciò che abita nel nostro
corpo e, di conseguenza, possiamo diventare così estraniati da noi stessi da
aver poi bisogno della poesia per ricordarci che cosa si prova a esser vivi. La
nostra abitudine a pensarci in relazione agli altri e a giudicarci in base a
come agiamo in un contesto sociale ci rende più vicini allo spirito della
narrativa: il comportamento esteriore è più facile da osservare, può essere
percepito immediatamente, ed è quindi più semplice giudicarlo. (…) Una poesia,
tuttavia, avrà necessariamente un'esistenza nel tempo, se non altro per il modo
in cui si relaziona alle opere precedenti, assieme alle quali viene a formare
un lungo specchio ininterrotto che, nel fluire dei secoli, ritrae la
soggettività umana. È curioso notare come i sentimenti, pur accompagnandoci sempre,
siano così difficili da cogliere da sembrare qualcosa di effimero. In genere vi
prestiamo attenzione quando si fanno avanti con impellenza, nei momenti
critici, quando è più forte l'esperienza della perdita: durante una
separazione, per esempio, o in seguito alla morte di una persona cara. È allora
che ci rivolgiamo alla poesia perché ci dica quali sono i nostri sentimenti,
per mettere in parole ciò che supera la nostra capacità di articolazione.
Inoltre, la poesia ha la capacità di conservare il senso di urgenza di tali
momenti, permettendoci di riviverli più e più volte: anche quando una poesia è
incentrata sulla perdita, il suo scopo è quello di conservare, di trattenere.
Vogliamo serbare ciò che sentiamo nel profondo ma in un modo tale da trasformarlo
in piacere.
Mark Strand
Ritrovarsi sull'isola dei poeti
Il Sole24ore - 3 luglio 2011
Il Sole24ore - 3 luglio 2011
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