giovedì 13 novembre 2014

Il racconto è parola che d'istinto cerca la voce

Beckett ama la forma breve. Nei diversi media, sia narrativi sia drammatici, che pratica, il tempo ha sempre un senso decisivo.
Quel "grande mostro a due teste", come lo chiama, domina l'esperienza umana e dunque anche la sua rappresentazione- su questo Beckett non ha dubbi. Chi vive, chi parla, chi racconta, chi agisce lo fa nello spazio di un'attesa - in un frattempo; non facciamo altro, noi viventi, che continuarea cominciare di finire... Il serpente si morde la coda, l'inizio si ricongiunge con la fine.E difatti, come fa notare Paolo Bertinetti nella sua densa introduzione al volume ( Beckett, Einaudi), la produzione letteraria dello scrittore irlandese «si apre con una serie di brevi prose, a partire da Assunzione, del 1929 e con una serie di brevi prose, circa sessant'anni dopo, si conclude». Ora, quei racconti e prose brevi, che Beckett scrisse nel corso degli anni in inglese, poi in francese e di nuovo in inglese, vengono riuniti, sì che noi lettori devoti possiamo cogliere di fiore in fiore dalle versioni di celebri traduttori e altrettanto devoti studiosi beckettiani.
Perché questo amore della forma breve? Perché è irlandese, e gli irlandesi hanno una innata propensione alla battuta? perché sopravvive in loro l'istintiva vocazione orale del racconto? O perché Beckett è sempre teatrale, e la parola in lui d'istinto cerca la voce? È un problema da non sottovalutare, perché chi ama leggere e chi ama scrivere risponde alle forme, prima che ai contenuti.
L'intensità poetica di questi testi è altissima, ricchissima la profondità linguistica; quanto alle storie, sono esili, esili le trame e il senso pare organizzarsi su altri assi. 

incipit della recensione apparsa su Repubblica venerdì 5 novembre 2010 di Nadia Fusini

Samuel Beckett
Racconti e prose brevi
a cura di Paolo Bertinetti
Einaudi 2010

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