In ogni scrittore c'è un passato leggendario (buono o cattivo non importa) che, nel sortilegio della memoria, brilla di luce propria. Nel giovane Magris quel passato cinse il vasto perimetro della Mitteleuropa. Nel quale divorò storie, romanzi, avventure. Annusò le piste che partendo dall'incrocio di terre di confine - fra Trieste e l'infinito - lo portarono a scoperte sorprendenti. La letteratura gli parve dotata di organi vitali: occhi, polmoni, gambe. Perfino la più trascurabile unghia poteva, se colta nel punto giusto, graffiargli l'anima. Rammentargli il dolore che una frase può procurarci, come, allo stesso modo, la più immensa delle felicità. Se penso a Claudio Magris letterato lo vedo dentro questa luce di certezza: tutto ciò che egli legge è anche ciò che finisce con amare.
(...)
Cosa vuol dire amare uno scrittore?
«È diverso dal giudicarlo. Senza la forza dello stile,è chiaro, un racconto o un romanzo non ti arrivano. Ma amarli è qualcosa in più. Conrad o Tolstoj, per fare degli esempi, non li avrei amati se non mi avessero fatto scoprire qualcosa di me che sapevo di avere ma mi era sconosciuta. Quando lessi i racconti di Singer sentii che fu la mia vita ad esserne coinvolta»
frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Claudio Magris
Repubblica di domenica 3 novembre 2013
2 settimane fa
Nessun commento:
Posta un commento