Autunno, fuoco piovoso, vecchio fuoco, rogo. Rottami,
legno e nebbie. Ruggine, cenere. Alba di cenere, consumata, festa finita,
ornamenti strappati, fradici. Nebbie armate, in cammino su campi e giardini. Il
vomere del freddo si avvicina e scintilla. L’ombra in piedi dietro ara.
... Eppure ho rivisto i campi, gli alberi, le valli
come furono sempre in questa stagione quando una bella giornata s’instaura fra
giorni e giorni di pioggia o di vento. Ho ritrovato la debole luce dell’autunno
sul tronco delle querce, e quella sorta di ronzio dorato sotto le loro foglie,
rette da queste forti braccia o colonne storte nere; così i pioppi gialli e
immobili lungo un’acqua invisibile, così le curve della terra che quasi nulla
vela; e le lastre di roccia fra gli alberi bassi, i cespugli di spine dove si
mescolano il verde tenebra e il rosso; e le terre arate scintillanti; dei
piccioni si alzano in volo con un rumore di mani battute o di bucato al vento,
e ce ne sono due più bianchi degli altri che inscrivono nell’azzurro del cielo
la linea pura del loro volo. Poi il sole è appena velato dalle nuvole dell’orizzonte
che tutto diventa quasi buio e il freddo scorre come una falce sull’intero
paesaggio. Salgono di quando in quando dei fumi.
Parlare con questo vuoto al cuore, contro di lui,
Germogli di acacia sul bianco quasi blu del cielo. Forse limitarsi solo a
questo: a essere colui che brucia foglie morte, che estirpa erbe cattive.
Questi germogli con le loro ultime foglie pallide,
sottili. Inverno incipiente.
Novembre
(primo frammento)
Questa prosa poetica di Philippe Jaccottet, con traduzione
di Antonella Anedda è tratta dal volume
I Poeti della malinconia,
I Poeti della malinconia,
a
cura di Biancamaria
Frabotta,
Donzelli 2001
Donzelli 2001
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