lunedì 20 aprile 2015

Scrivere è cercare un lampo che getti luce su tutto, è afferrare fulgide stelle che cadono nella piena estate, in mezzo alla notte

Ora mi chiedo: davvero narrare è un destino?
Avevo sette anni quando dichiarai in famiglia che volevo diventare scrittrice. 
Per una serie di coincidenze e di scelte ho poi onorato quel sogno ingenuo, che mi permetteva di salvarmi dai naufragi della sensibilità, mi spingeva a rafforzarmi nella disciplina, mi avviava verso un progetto di indipendenza. 
La parola scritta ha così dominato la mia vita. Tuttora la domina. Anche se la figura di scrittrice che immaginai da bambina si è trasformata, a causa dei profondi mutamenti sociali: omologazione, potenza dei media, mercato trionfante, globalità; ormai non coincide più con quel ruolo, quel mito. Non esiste più.
Al posto di quella figura c'è una donne come tante, la cui particolare inclinazione è di farsi assorbire dalle parole scritte e la cui esigenza è di cercare una sintesi che valga per la conoscenza e per la solitudine.
Cosa intendo per sintesi? Intendo un segnale di verità, un lampo che getti una luce su tutto. 
La via di chi scrive è contrassegnata da questi lampi. Da anni, tuttavia, ho smesso di chiedermi dove portano: questa è la novità. Forse ho fatto mio un pensiero di Simone Weil: "Distacco dai frutti dell'azione. Sottrarsi a questa fatalità". 
In mezzo al mondo cambiato continuo il lavoro che ho scelto. Per necessità, per innata fedeltà. Sono persuasa che non c'è alcun punto, nella realtà, a cui mirare come a una conquista. Mi aspetto gioia e sorpresa solo da quei lampi di cui ho detto prima: per loro guardo attentamente oltre i disordini e i mutamenti.
E mi tengo pronta ad afferrarli, quasi fossero stelle in fulmineo transito: fulgide stelle che cadono nella piena estate, in mezzo alla notte.
agosto 2002


Grazia Livi
Narrare è un destino
La Tartaruga edizioni 2002 

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