mercoledì 15 gennaio 2014

Narrare è ricordare ciò che non è mai avvenuto

«Ovvio che non si può smet­tere di vivere e poi rico­min­ciare, ma credo che ci siano momenti in cui si ha biso­gno di riti­rarsi in se stessi. Sono momenti in cui non suc­cede quasi niente, tranne ricor­dare e imma­gi­nare. L’ estate senza uomini è quindi prima di tutto una rifles­sione sulla potenza sal­vi­fica dell’ immaginazione».

Ma i ricordi di Mia sono selet­tivi. Pensa al suo matri­mo­nio, a quando era bam­bina, ma non a quello che le è suc­cesso quando il marito se n’ è andato. Non mi piace ricor­dare quella pazza, dice Mia di se stessa, mi fa vergognare.

«Per un periodo sono stata volon­ta­ria in un ospe­dale psi­chia­trico. Facevo lezioni di scrit­tura ai pazienti. Ho capito lavo­rando con loro quanto può essere dolo­roso un crollo così vio­lento. Soprat­tutto per la sua inde­ci­fra­bi­lità. Chi era quell’alieno, quell’ altro da me che gri­dava, si dibat­teva o tre­mava? Come fac­cio a fare i conti con que­sta parte di me? Ricor­dare signi­fica anche saper dimen­ti­care. O rein­ven­tare. L’ arte delle nar­ra­zione può essere defi­nita come la capa­cità di ricor­dare quello che non è mai accaduto».

Per­ché si rac­conta una sto­ria anzi­ché un’altra?
« Que­sto è il tema cen­trale della nar­ra­tiva. Le sto­rie sono delle appa­ri­zioni. Si può scri­vere di qual­siasi cosa, si pos­sono scri­vere libri su sciami di zebre volanti che volano da un pia­neta all’altro. Ma quanto è urgente? I grandi scrit­tori rispon­dono sem­pre a un’ urgenza pro­fonda. La fabula, come i for­ma­li­sti russi chia­mano il nucleo del rac­conto, ciò che non muta. C’ è una sorta di “Ur-Narrazione”, che non chia­me­rei auto­bio­gra­fia in senso stretto, ma è una sto­ria di auto­bio­gra­fia emo­zio­nale. In que­sto caso avevo finito di scri­vere due romanzi il cui pro­ta­go­ni­sta era un uomo ( Quello che ho amato e Ele­gia per un ame­ri­cano ). Ero stata per dieci anni nella voce di un maschio. Volevo tor­nare a essere una donna. Non ci sarà nes­sun uomo in que­sta sto­ria, ho pen­sato. E mi è arri­vata que­sta voce, leg­gera, buffa. Non avevo mai scritto in maniera iro­nica, gio­cando coi doppi sensi».

L’estate senza uomini è infatti, para­dos­sal­mente, una com­me­dia. Mia non fa altro che pian­gere per tutto il libro ma non pensi mai a lei come a una che sof­fre sul serio.
«Per­ché si prende in giro. Non volevo scri­vere un dia­rio della dispe­ra­zione. Soprav­vi­vere e tor­nare a vivere, è di que­sto che volevo par­lare. Mia è una donna colta, che ha i mezzi per inter­pre­tare e anche supe­rare il dolore. Legge Lacan, Der­rida, stu­dia la lin­gui­stica e ha con­fi­denza con Merleau-Ponty, ma sa arren­dersi di fronte alla forza dell’ umano. E quando, all’incon­tro in cui le anziane signore ana­liz­zano Per­sua­sione di Jane Austen, viene messa di fronte al biso­gno del let­tore di una sem­plice iden­ti­fi­ca­zione col per­so­nag­gio, cede. Ed è quello che è capi­tato a me. Anch’io, adesso, sono molto più attratta dalla sem­pli­cità. In fondo se il let­tore non rie­sce a iden­ti­fi­carsi con i pro­ta­go­ni­sti, vuol dire sol­tanto che lo scrit­tore non ha fatto un buon lavoro».

Nei suoi libri l’arte e l’invi­si­bi­lità sono due temi fon­da­men­tali, e sem­brano l’ una lo spec­chio dell’ altra.
«È così. Moki, l’ amico imma­gi­na­rio di Flora, ma anche mister Nes­suno, 
l’ uomo che appare dal nulla, come mit­tente di stram­pa­late email. La mia agente mi aveva chie­sto di spie­gare, alla fine, chi dia­volo fosse mister Nes­suno. Ma io non ho voluto. Mister Nes­suno è una pro­ie­zione di Mia, che appare in rispo­sta alla sua soli­tu­dine. È una sorta di altro da lei, da lei stessa imma­gi­nato. Nello stesso modo l’ arte non è un vero altrove, ma un altrove imma­gi­na­rio. L’ invi­si­bile e l’ arte sono quello che manca. Qual­cuno diceva che le per­sone per le quali il mondo non è abba­stanza sono i filo­sofi, i poeti e i let­tori di romanzi».


frammento dell'intervista di Elena Stancanelli a Siri Hustvedt
Repubblica 9 giugno 2012

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