«Ovvio che non si può smettere di vivere e poi ricominciare,
ma credo che ci siano momenti in cui si ha bisogno di ritirarsi in se stessi.
Sono momenti in cui non succede quasi niente, tranne ricordare e immaginare.
L’ estate senza uomini è quindi prima di tutto una riflessione sulla potenza
salvifica dell’ immaginazione».
Ma
i ricordi di Mia sono selettivi. Pensa al suo matrimonio, a quando era bambina,
ma non a quello che le è successo quando il marito se n’ è andato. Non mi
piace ricordare quella pazza, dice Mia di se stessa, mi fa vergognare.
«Per un periodo sono stata volontaria in
un ospedale psichiatrico. Facevo lezioni di scrittura ai pazienti. Ho
capito lavorando con loro quanto può essere doloroso un crollo così violento.
Soprattutto per la sua indecifrabilità. Chi era quell’alieno, quell’
altro da me che gridava, si dibatteva o tremava? Come faccio a fare i conti
con questa parte di me? Ricordare significa anche saper dimenticare. O
reinventare. L’ arte delle narrazione può essere definita come la capacità
di ricordare quello che non è mai accaduto».
Perché
si racconta una storia anziché un’altra?
« Questo è il tema centrale della narrativa. Le storie sono
delle apparizioni. Si può scrivere di qualsiasi cosa, si possono scrivere
libri su sciami di zebre volanti che volano da un pianeta all’altro. Ma
quanto è urgente? I grandi scrittori rispondono sempre a un’ urgenza profonda.
La fabula, come i formalisti russi chiamano il nucleo del racconto, ciò
che non muta. C’ è una sorta di “Ur-Narrazione”, che non chiamerei autobiografia
in senso stretto, ma è una storia di autobiografia emozionale. In questo
caso avevo finito di scrivere due romanzi il cui protagonista era un uomo
( Quello che ho amato e Elegia per un americano ). Ero stata per dieci anni
nella voce di un maschio. Volevo tornare a essere una donna. Non ci sarà nessun
uomo in questa storia, ho pensato. E mi è arrivata questa voce, leggera,
buffa. Non avevo mai scritto in maniera ironica, giocando coi
doppi sensi».
L’estate senza uomini è infatti, paradossalmente, una commedia. Mia non fa
altro che piangere per tutto il libro ma non pensi mai a lei come a una che
soffre sul serio.
«Perché si prende in giro. Non volevo scrivere
un diario della disperazione. Sopravvivere e tornare a vivere, è di questo
che volevo parlare. Mia è una donna colta, che ha i mezzi per interpretare e
anche superare il dolore. Legge Lacan, Derrida, studia la linguistica e ha
confidenza con Merleau-Ponty, ma sa arrendersi di fronte alla forza dell’
umano. E quando, all’incontro in cui le anziane signore analizzano Persuasione
di Jane Austen, viene messa di fronte al bisogno del lettore di una semplice
identificazione col personaggio, cede. Ed è quello che è capitato a
me. Anch’io, adesso, sono molto più attratta dalla semplicità. In fondo se
il lettore non riesce a identificarsi con i protagonisti, vuol dire
soltanto che lo scrittore non ha fatto un buon lavoro».
Nei
suoi libri l’arte e l’invisibilità sono due temi fondamentali, e sembrano
l’ una lo specchio dell’ altra.
«È così. Moki, l’ amico immaginario di
Flora, ma anche mister Nessuno,
l’ uomo che appare dal nulla, come mittente
di strampalate email. La mia agente mi aveva chiesto di spiegare, alla
fine, chi diavolo fosse mister Nessuno. Ma io non ho voluto. Mister Nessuno
è una proiezione di Mia, che appare in risposta alla sua solitudine. È una
sorta di altro da lei, da lei stessa immaginato. Nello stesso modo l’ arte
non è un vero altrove, ma un altrove immaginario. L’ invisibile e l’ arte
sono quello che manca. Qualcuno diceva che le persone per le quali il mondo
non è abbastanza sono i filosofi, i poeti e i lettori di romanzi».
Nessun commento:
Posta un commento