Henning Mankell prende il cartone del latte, una tazzina da caffè e un
bicchiere d'acqua che mi ha appena offerto. Li sistema sul tavolo della cucina
disegnando i punti di una retta e usa questa strana composizione per spiegare
come pianifica le sue storie: «All'origine c' è sempre una domanda, e la
volontà di approfondire un determinato argomento. Mi documento finché non so
tutto, poi penso a un inizio e alla fine. Solo successivamente subentra la
scrittura».
Tra pochi giorni esce Il cinese, romanzo, afferma Mankell, «che ho
scritto perché lo leggano i dirigenti politici» e «perché la memoria è come un
vetro, è così fragile che si può rompere in mille pezzi».
Attorno a un ordito
poliziesco, materiali autobiografici si mescolano ad alcuni temi ricorrenti -
la globalizzazione, il rapporto fra vecchio e nuovo, il ponte che unisce Africa
ed Europa: «Le fondamenta del romanzo poliziesco - precisa - si trovano nella
tragedia greca. Prendiamo Medea, che uccide i propri figli perché gelosa del
marito. Se non è questa una storia criminale allora quale lo è?».
I prologhi
dei suoi gialli sociali sono sempre sincopati, così come le atmosfere sempre
silenziosamente drammatiche, un po' in bianco e nero...
frammento dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Henning Mankell
Repubblica 13 giugno 2009
1 mese fa
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