La voce di António Lobo Antunes è arrochita, profonda, quasi baritonale.
L'autore portoghese, uno dei riconosciuti maestri della letteratura europea
contemporanea (...) spiega che lo scrittore è una
sorta di tramite: "Il libro sceglie il proprio cammino, io mi considero
solo un intermediario tra due istanze: la prima che non so qual è, e la seconda
che è il lettore ". Con forza rigetta l'idea stessa di vocazione
- "È la mano che scrive con la testa che viaggia lontano"
- e nega qualsiasi collegamento tra la sua letteratura e le esperienze
lavorative come psichiatra: "Gli ospedali non mi diedero né mi portarono
altro che non fosse orrore, sofferenza e dolore".
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Quando ha capito che avrebbe voluto scrivere?
"All'età di sei o sette anni. Mio padre era un neurologo, professore all'università, ed io il primogenito di una famiglia che proveniva dal Brasile. Divenni psichiatra perché non volevo essere un medico. L'unico mestiere che ho mai desiderato fare nella vita è però lo scrittore. Ho sempre saputo che non sarebbe stato facile, e infatti sono trascorsi molti anni prima che trovassi la mia voce. Ho pubblicato il mio primo libro (Memória de elefante, n.d.r) a trentasei anni, e quasi fino ad allora la mia reazione era sempre la stessa: così non va. Riscrivevo in continuazione".
Come sono scandite le sue giornate?
"Dedico alla scrittura mediamente dieci ore al giorno e per ogni libro impiego uno o due anni. Il processo più complesso è però la correzione, quanto cambi di ciò che hai scritto; perché un testo non è mai finito, c'è sempre un avverbio, un pronome, un articolo che non convincono. Così quando finalmente chiudo un libro provo un sentimento ambivalente: da un lato sento una specie di sollievo, dall'altro so che ho iniziato a perderlo".
Soltanto la dedizione ad una passione esclusiva conferisce potenza, sostiene Stefan Zweig nella biografia su Balzac. Per resistere ore alla scrivania, Balzac si teneva sveglio bevendo moltissimo caffè; e lei?
"Fumo sigarette. Ciò che dice Zweig è esatto: serve una devozione assoluta se vuoi fare questo mestiere. Forse il talento non esiste, ci sono solo persone che provano e provano e provano ancora. Un giorno, ad uno che gli chiedeva come avesse potuto realizzare un certo magnifico passaggio, Bach rispose che se avesse lavorato quanto aveva fatto lui avrebbe ottenuto lo stesso risultato".
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Io mi ricordo - scrive Hegel - vuol dire "io penetro nel mio interno, ricordo me". Che relazione sussiste tra memoria e immaginazione?
"L'immaginazione è l'unica possibilità che hai per affrontare la memoria concreta. Non facciamo altro che riadattare, riorganizzare e risistemare tutto il materiale memoriale in un ordine differente. L'immaginazione deriva da come lavoriamo questo materiale; prende forma dalla memoria. In uno studio su persone che hanno avuto un ictus, si dimostra che chi è stato privato della memoria è stato privato anche dell'immaginazione".
Ci sono immagini che più di altre hanno formato il suo animo?
"Non sono perseguitato da immagini ma da ossessioni. Sono loro che plasmano il mio animo. Ogni regista, o scrittore, o artista o pittore, è spinto dalle proprie ossessioni. Io poi non penso in forma logica, le cose mi appaiono già così nella testa, mi limito a seguirle; ed è male".
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L'infelicità dei suoi personaggi sembra derivare dall'interpretazione di alcuni istanti del loro passato, e dall'esserne prigionieri.
"Non vedo i miei personaggi come felici o infelici, nemmeno li vedo i miei personaggi. Vedo una voce che viene, che va, che torna, che attacca, che scrive il libro. Ogni libro è scritto per una voce".
Una voce?
"Prende corpo dentro di me, e non so perché né da dove provenga. Alle volte, quando inizio a scrivere la mattina, devo aspettare tre o quattro ore prima che questa voce cominci a parlare. Non posso spiegare meglio, perché non scrivi ciò che vuoi ma ciò che devi, ciò che ti viene ordinato di scrivere. Sembrerà un pochino folle, ma questo è quello che faccio ed è quello che sono. Non ho mai capito in cosa consista davvero il sistema creativo. Quando ero uno studente di medicina ho letto moltissimi libri sui processi creativi e non ho mai trovato una spiegazione soddisfacente. Probabilmente rimarrà per me sempre un mistero".
frammenti della bellissima intervista di Sebastiano Triulzi a Antonio Lobo Antunes su Repubblica di sabato 25 gennaio 2014