«Ho bisogno di qualcosa che susciti o risvegli un ricordo per l'ispirazione - confessa Heaney, ospite a Roma dell' American Academy - ma la mia scorta di immagini dell' infanzia si discosta molto dalla mia vita da adulto».
(...)
Pensa di essere cresciuto in una Arcadia?
«Sì. Ho trascorso l' infanzia in un fattoria, durante gli anni Quaranta, in una parte del paese che si muoveva a ritmo lento. Il materiale delle mie poesie proviene dalla memoria di quel locus amoenus. Come conciliarlo col resto
dell' esperienza è stato il mio rovello principale. Oggi posso dire che parte della mia poesia è un tipo di natura morta, o un quadro di interni olandese».
(...)
In realtà è
come se lei scrivesse da sempre della guerra, solo che è una guerra diversa.
«Sì, lo so. È ciò di cui parla Milosz in The World, in cui le immagini
idilliche e ironiche sono usate per andare contro ciò che sta accadendo
altrove. Diceva che l' occupazione nazista di Varsavia, la distruzione del
ghetto, la ribellione dei polacchi erano come un grido prolungato e la poesia
non riusciva a gridare così. In un famoso verso si chiede: "Che cos' è la
poesia che non salva i popoli né le persone?". Rispondo citando Brodsky:
"L' unica cosa che l'arte ci insegna è che la condizione umana è
privata". Ma ogni teoria, suppongo, è
un' autobiografia».
Repubblica 23 maggio 2013
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