Quando la sera scende sul volto di Julian Barnes e il buio s'
impadronisce dello studio, verrebbe voglia di non lasciarlo solo. Ha deciso di
non accendere la luce e i contorni delle cose si perdono nella sua casa così
tipicamente inglese con la facciata dai mattoni rossi. Il buio si prende il
giardino interno e la scala centrale, di legno, che porta al secondo piano.
Continuerà a parlare nella penombra dell' arma che usa contro la solitudine: il
lucido esercizio della ragione, che però non mitiga il senso di angoscia e di
disperazione. Einaudi ha appena pubblicato il suo memoir, Livelli di vita, in
cui analizza il processo dell' elaborazione del lutto dopo la morte della
moglie Pat Kavanagh, avvenuta nel 2008. Racconta della complicità che sorge con
altri dolenti, di aver continuato a parlare con lei tenendo in vita il loro
linguaggio comune, dell' idea del suicidio che s' è affacciata «prestissimo, e
molto razionalmente». Confessa di piangerla senza vergognarsi e di averla
sognata per anni pur fallendo quando voleva evocarla volontariamente. L' ha
amata così tanto da sostenere che è la vita ad aver perso con la sua morte, e
cercando un disegno ripete: «È solo l' universo che fa il suo mestiere». Anche
nel suo penultimo libro, Il senso di una fine, vincitore del Man Booker Prize
nel 2011, Barnes ricostruiva l' insignificanza della vita umana attraverso i
personaggi che continuamente si interrogano senza trovare una spiegazione. E
falliscono miseramente perché non riescono a darsi un' educazione sentimentale,
come la definiva il suo amato Flaubert. Prima di affrontare il lutto, Barnes
compie in Livelli di vita un lungo giro che comprende brandelli della storia
del volo o della fotografia, emblemi del prodigio e della verità che formano la
chimica dell' amore:
« Sentivo la necessità di inserire il lutto in una sorta
di impalcatura, altrimenti - spiega - sarebbe solo un grido di dolore».
Ha
scritto questo libro come se stesse mettendo in pratica una forma di terapia?
«Nei primi tempi, dopo che venne diagnosticato il tumore a mia moglie, tenevo
un diario; scrivevo ogni giorno, annotando tutto ciò che succedeva perché
temevo di dimenticare. È stato, questo sì, molto terapeutico. Sentivo che
dovevo descrivere la sua malattia il più accuratamente possibile: era il mio
compito come essere umano oltre che come scrittore. Quando iniziai Livelli di
vita erano passati tre o quattro anni, lo scopo era un altro. E non ha cambiato
il livello del mio dolore». Che cos' è il dolore? «L' immagine negativa dell'
amore. Il dolore ha bisogno della condivisione, mette alla prova le amicizie,
rende egoisti, indebolisce più che rafforzare. A volte a lui ci affezioniamo.
E. M. Forster dice che "una morte può anche trovare una spiegazione, ma
non getterà mai luce su un' altra"; succede anche al dolore, che non
spiega un altro dolore».
(...)
Lei usa un termine preciso: Sehnsucht. Che cosa significa?
«È
una parola del pensiero romantico tedesco che non ha equivalenti in inglesee
che descrive il tipo di solitudine che ho conosciuto dopo essere stato privato
della persona che amavo. Significa "struggimento", avere un
inconsolabile desiderio per qualcosa o qualcuno che non si può raggiungere».
Come il mito di Orfeoe della sua Euridice?
«È un esempio del rapporto che
abbiamo con l' abisso. Orfeo scende nell' oltretomba per riprendersi la moglie
morta. Oggi le nostre possibilità di andare in profondità sono minori di una
volta: per riportare alla luce possiamo solo scendere dentro i nostri sogni. O
nella memoria. Quella metafora ci ha abbandonati. Si può perdere tutto per uno
sguardo come fa Orfeo? Forse il mondo esiste per questo, per essere perduto».
frammenti dell'intervista (Repubblica 4 ottobre 2013)
di Sebastiano Triulzi a
Julian Barnes in occasione della pubblicazione del nuovo libro
Livelli di vita
traduzione di Susanna Basso
Einaudi 2013
2 settimane fa
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