Ode titubante
Mi preparo da tanto per dirti
il misterioso sistema stellare del mio amore;
in una sola immagine forse o solo l’essenziale.
Ma sei brulicante e trabocchi in me come il mio essere,
e a volte così sicura, così eterna,
come nella pietra la chiocciola pietrificata.
Sopra la mia testa scorre la notte striata dalla luna
e frusciando caccia i piccoli sogni fugaci.
E non so ancora dirti
cosa significa per me, quando lavoro,
sentire il tuo sguardo protettivo sulla mia mano.
Non c’è paragone che valga. Mi viene in mente, ma lo butto via.
L’indomani comincio tutto da capo,
perché io valgo quanto la parola
nei miei versi, e questo mi agita
finché non restano di me che le ossa e qualche ciuffo di capelli.
Sei stanca, e anch’io sento che il giorno è stato lungo,
cos’altro posso dire? gli oggetti sul tavolo
ti guardano incantati, ti ammira mezza zolletta
di zucchero, e una goccia di miele cade e brilla
sulla tovaglia come una pallina d’oro,
il bicchiere dell’acqua vuoto suona da solo.
È felice perché vive con te. E forse avrò ancora tempo
per dirti com’è l’attesa di te.
Il buio cadente del sonno ogni tanto ti sfiora,
vola via, poi torna sulla tua fronte,
gli occhi assonnati mi mandano ancora un cenno di saluto,
i tuoi capelli si sciolgono, si spandono in fiamme
e ti addormenti. L’ombra delle lunghe ciglia batte.
La tua mano cade sul mio cuscino, ramo di betulla
che addormenta,
ma anch’io dormo in te, non sei un altro mondo.
E sento fin qui mutare le tante
linee sottili e misteriose
nel tuo fresco palmo.
in una sola immagine forse o solo l’essenziale.
Ma sei brulicante e trabocchi in me come il mio essere,
e a volte così sicura, così eterna,
come nella pietra la chiocciola pietrificata.
Sopra la mia testa scorre la notte striata dalla luna
e frusciando caccia i piccoli sogni fugaci.
E non so ancora dirti
cosa significa per me, quando lavoro,
sentire il tuo sguardo protettivo sulla mia mano.
Non c’è paragone che valga. Mi viene in mente, ma lo butto via.
L’indomani comincio tutto da capo,
perché io valgo quanto la parola
nei miei versi, e questo mi agita
finché non restano di me che le ossa e qualche ciuffo di capelli.
Sei stanca, e anch’io sento che il giorno è stato lungo,
cos’altro posso dire? gli oggetti sul tavolo
ti guardano incantati, ti ammira mezza zolletta
di zucchero, e una goccia di miele cade e brilla
sulla tovaglia come una pallina d’oro,
il bicchiere dell’acqua vuoto suona da solo.
È felice perché vive con te. E forse avrò ancora tempo
per dirti com’è l’attesa di te.
Il buio cadente del sonno ogni tanto ti sfiora,
vola via, poi torna sulla tua fronte,
gli occhi assonnati mi mandano ancora un cenno di saluto,
i tuoi capelli si sciolgono, si spandono in fiamme
e ti addormenti. L’ombra delle lunghe ciglia batte.
La tua mano cade sul mio cuscino, ramo di betulla
che addormenta,
ma anch’io dormo in te, non sei un altro mondo.
E sento fin qui mutare le tante
linee sottili e misteriose
nel tuo fresco palmo.
Miklós Radnóti
Mi capirebbero le scimmie
Poesie
(1928-1944)
a cura di Edith Bruck
Donzelli 2009
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