Nel romanzo si diluiscono le difficoltà. In un racconto non mi piace il tono muscolare della scrittura, ma il nitore. Amo la sapienza accorta, il taglio artigianale, l'idea che qualcosa possa essere fatta per bene, senza fretta e sciatteria. Non mi interessa la storia o la scena. Non sono una scrittrice di fatti. Mi basta un particolare, un trasalimento o un moto affettivo. È questo che coordina a sé le parole come in un movimento a spirale. Bado che ci sia una tessitura accurata, un equilibrio di tutte le parti. Non è intimismo ma intimità. Ognuna di quelle parole passa per il corpo, entra in profondità, si inscrive in una linea fluida. Poi c'è da stabilire un contatto tra questo fluire e il segno sulla pagina. È il momento della forma: unione di materia e astrazione, corpo e spirito.
La conversazione di Grazia Livi con Marina Peral Sànchez e Lucia Tancredi a Milano nel maggio 2014 è in appendice alla raccolta di racconti Sognami ancora, già editi e scelti da Grazia con il figlio Gabriele, pubblicata dalla casa editrice ev di Treia (MC)
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