sabato 12 maggio 2012

Ritratto dello scrittore che legge/1


Ma alla fin fine, se lo debbo dire, io penso che a dischiudermi la vita sono stati in gran parte i libri. Non le grammatiche o i vocabolari ma tutte le opere in cui vive qualche sentimento. Dapprima, abbagliato dai grandi nomi, mi fermai sui poemi omerici, sulla Commedia, su Shakespeare, su Hugo. Quattro anni fa, io cominciavo ad aver per le mani le loro opere e mi esaltavo confusamente senza capirne il perché. Ora dopo quattro anni di fatiche e dopo che lei ci ha insegnato a leggere, a poco a poco, credo di esser giunto a capire qual è la loro magia.
La poesia non fa che dare una esistenza immortale alla vita e quindi esse, opere di poesia, sono il riassunto di secoli conservati appunto viventi: viventi, questa è la grande parola che ho trovato a forza di fatiche e di scoraggiamenti non pochi.
E di mano in mano che mi si scopriva questa che ritengo una mia verità, di mano in mano che trovavo nei libri la vita di secoli trascorsi, mi cresceva l’ardore a conoscere la nostra vita attuale. Il perché è ovvio. Ma è anche molto superbo. E lo lascio trovare a lei.
Veda quindi se sono proprio infunghito sui libri. Creda che ce ne son certi nei miei scaffali che solo a guardarli mi corre un brivido di entusiasmo per la schiena.
A questo punto, se non la scoccio, le do un ragguaglio del mio lavoro. Studio il greco per potere un giorno ben conoscere anche la civiltà omerica, il secolo di Pericle, e il mondo ellenista. Leggo Orazio alternato a Ovidio: è tutta la Roma imperiale che si scopre. Studio il tedesco sul Faust, il primo poema moderno. Divoro Shakespeare, leggo il Boiardo e il Boccaccia alternati, tutto il rinascimento italiano, e finalmente la Légende des Siècles e le Foglie d’erba di Walt Whitman, questo è il più grande. Scorrazzo così, aiutato dalla conoscenza (poca ma cresce sempre) del pensiero del tempo, tra tutte queste civiltà che durano ora unicamente nella poesia, mi esalto dei loro ideali nei loro ideali… e così studio la vita moderna.

lettera a Augusto Monti, agosto 1926

Sento che ti vai lamentando che io ti risponda “Lavoro” senza più.
Dunque non ti basta la santità della parola? Non lo sai che il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alla bestia?
Ad ogni modo, se proprio lo vuoi, eccoti il grado del mio imbestiamento. Sono alle
         1. Poesie latine di Francesco Berni (secolo XVI)
2. Canto XIV della Parte II dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (secolo XV)
3. Esatta metà della Légende des Siècles di Victor Hugo (secolo XIX)
4. Prime pagine del Faust di Wolfgang Goethe (secolo XVIII)
5 Ultime pagine dell’On Herpes and Hero-worship and the eroic in History di Thomas Carlyle (secolo XIX)
6. Levitino di Mosè (secolo)
7. prefazione degli Stimmen der Völker in Liedern di Johann Gottfried von Herder (secolo XVIII)

e ogni tanto do un’occhiatina alla
         8-9. Grammatica Greca, al Vocabolario italiano,
10.  alle Laudi del Cielo del Mare della terra e degli Eroi di Gabriele d’Annunzio,
11. alle Leaves of grass di Walt Whitman.
12. Ho finito l’Othello di William Shakespeare (secolo XVI),
13. il Decamorone di Giovanni Boccaccia (secolo XIV),
14. i Poems di Ossian (secolo IV),
15. i Carmina di Quintus Horatius Flaccus (secolo I).

(Sei ancora vivo? … Allora continuo).
Quasi tutto il mio lavoro si riduce alla comprensione e alla collocazione storica di questi scrittori, cosa che faccio con ardore, come la creazione di un dramma, e infatti è un dramma grandiosissimo che vado scoprendo e vivendo, questo di tuta la storia dell’umanità: un dramma che comprende tutti gli altri scritti e non scritti.
Lettera a Tullio Pinelli, 12 ottobre 1926

Cesare Pavese Lettere 1926-1950
Einaudi 1968

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