Ma alla fin fine, se lo
debbo dire, io penso che a dischiudermi la vita sono stati in gran parte i
libri. Non le grammatiche o i vocabolari ma tutte le opere in cui vive qualche
sentimento. Dapprima, abbagliato dai grandi nomi, mi fermai sui poemi omerici,
sulla Commedia, su Shakespeare,
su Hugo. Quattro anni fa, io cominciavo ad aver per le mani le loro opere e mi
esaltavo confusamente senza capirne il perché. Ora dopo quattro anni di fatiche
e dopo che lei ci ha insegnato a leggere, a poco a poco, credo di esser giunto
a capire qual è la loro magia.
La poesia non fa che dare
una esistenza immortale alla vita e quindi esse, opere di poesia, sono il
riassunto di secoli conservati appunto viventi: viventi, questa è la grande parola che ho trovato
a forza di fatiche e di scoraggiamenti non pochi.
E di mano in mano che mi
si scopriva questa che ritengo una mia verità, di mano in mano che trovavo nei
libri la vita di secoli trascorsi, mi cresceva l’ardore a conoscere la nostra
vita attuale. Il perché è ovvio. Ma è anche molto superbo. E lo lascio trovare
a lei.
Veda quindi se sono
proprio infunghito sui libri. Creda che ce ne son certi nei miei scaffali che
solo a guardarli mi corre un brivido di entusiasmo per la schiena.
A questo punto, se non la
scoccio, le do un ragguaglio del mio lavoro. Studio il greco per potere un
giorno ben conoscere anche la civiltà omerica, il secolo di Pericle, e il mondo
ellenista. Leggo Orazio alternato a Ovidio: è tutta la Roma imperiale che si
scopre. Studio il tedesco sul Faust,
il primo poema moderno. Divoro Shakespeare, leggo il Boiardo e il Boccaccia
alternati, tutto il rinascimento italiano, e finalmente la Légende des
Siècles e le Foglie d’erba di Walt Whitman, questo è il più grande. Scorrazzo
così, aiutato dalla conoscenza (poca ma cresce sempre) del pensiero del tempo,
tra tutte queste civiltà che durano ora unicamente nella poesia, mi esalto dei
loro ideali nei loro ideali… e così studio la vita moderna.
lettera a Augusto
Monti, agosto 1926
Sento che ti vai
lamentando che io ti risponda “Lavoro” senza più.
Dunque non ti basta la
santità della parola? Non lo sai che il lavoro nobilita l’uomo e lo rende
simile alla bestia?
Ad ogni modo, se proprio
lo vuoi, eccoti il grado del mio imbestiamento. Sono alle
1. Poesie latine di Francesco Berni (secolo XVI)
2.
Canto XIV della Parte II dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (secolo XV)
3.
Esatta metà della Légende des Siècles di Victor Hugo (secolo XIX)
4.
Prime pagine del Faust di
Wolfgang Goethe (secolo XVIII)
5
Ultime pagine dell’On Herpes and Hero-worship and the eroic in History di Thomas Carlyle (secolo XIX)
6.
Levitino di Mosè (secolo)
7.
prefazione degli Stimmen der Völker in Liedern di Johann Gottfried von Herder (secolo XVIII)
e ogni tanto do
un’occhiatina alla
8-9. Grammatica
Greca, al Vocabolario italiano,
10. alle Laudi del Cielo del Mare della
terra e degli Eroi di Gabriele
d’Annunzio,
11.
alle Leaves of grass di Walt
Whitman.
12.
Ho finito l’Othello di William
Shakespeare (secolo XVI),
13.
il Decamorone di Giovanni
Boccaccia (secolo XIV),
14.
i Poems di Ossian (secolo IV),
15.
i Carmina di Quintus Horatius
Flaccus (secolo I).
(Sei ancora vivo? … Allora
continuo).
Quasi tutto il mio lavoro
si riduce alla comprensione e alla collocazione storica di questi scrittori,
cosa che faccio con ardore, come la creazione di un dramma, e infatti è un
dramma grandiosissimo che vado scoprendo e vivendo, questo di tuta la storia dell’umanità: un dramma
che comprende tutti gli altri scritti e non scritti.
Lettera a Tullio Pinelli,
12 ottobre 1926
Cesare Pavese Lettere 1926-1950
Einaudi 1968
Nessun commento:
Posta un commento