Arthur
vive a Parigi con arido distacco. Nelle spelonche dove gli capita di abiatre
scrive fino alle cinque del mattino, imbambolato d’assenzio. Così passa le
notti nella mansarda di Rue Monsieur le Prince, sospesa sul giardino del liceo
Saint-Louis. Davanti alla stretta finestra vibra una cortina di fronde, le cimase
dei grandi platani. Tutti gli uccelli sui rami gridano insieme. Alle tre di
notte la candela agonizza. Lavora alle sue visioni inimmaginabili. Sul foglio
più che scrivere accorda ritmi, tra musica e pittura. Il linguaggio poetico
deve coinvolgere tutti i sensi, l’anima per l’anima che riassume tutto:
profumi, suoni, colori. Come Baudelaire. “I profumi, i colori e i suoni si
rispondevano” è il distico che Arthur sceglie per la sua poesia Les Chercheurs de poux. Guarda gli
alberi, il cielo sospeso all’ora indicibile vicina all’alba. Attraverso le alte
finestre del liceo esplora le camerate, assolutamente sorde. E così ascolta l’intermittenza
del brulichio sonoro delizioso delle carrette che trabalzano sul selciato dei
viali. Fuma la pipa, sputando sulle tegole grigie. Accompagnato dallo scricchio
da scarpe nuove della lunga scala di legno del caseggiato, alle cinque scende a
comprarsi del pane. È l’ora in cui sfornano. Gli operai formicolano marciando
ovunque. È anche l’ora, per lui, di ricominciare a stordirsi di vino. Rientra e
si butta sul letto sfatto, proprio quando il primo sole, scaldandole, fa uscire
gli onisco da sotto le tegole. Il primo mattino, in estate, e le sere di
dicembre, ecco ciò che lo turba sempre.
Giuseppe
Marcenaro
Una
sconosciuta moralità
Quando
Verlaine sparò a Rimbaud
Bompiani
2013
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