La strega di marzo appare all’improvviso. Sono mesi che si prepara, cura i capelli rosso fuoco e tinge le labbra dello stesso colore, prova e riprova le pose e le smorfie davanti allo specchio grande che tiene in cucina. Non ha bisogno di calendari, annusa l’aria ogni mattina e così sa quando è il momento di uscire. Dipinge di rosso anche le unghie dei piedi, ma di nero quelle
delle mani. È indecisa tra l’abito di velluto viola e quello di seta arancione. Ma questo colore fa troppo estate e non è suo compito occuparsi di quella stagione. Così sceglie quello viola che sembra rubato a un quadro rinascimentale. Lascia scoperte le caviglie sottili e il petto generoso.
Avventata com’è non indossa calze né scarpe, ma sandali alla schiava sui piedi nudi. Affonda gli occhi dietro profonde linee nere, profuma di muschio bianco i polsi, le orecchie e la piega tra i seni. Sceglie l’anello con l’ametista e la collana d’argento che arriva dal Tibet lontano.
Alla fine, prima di uscire, rimuove la coperta dal suo nuovo mantello nero. Ha passato l’inverno a prendere misure e ripiegarne gli orli, così che la lunghezza fosse quella perfetta. Poi ha ricamato nelle lunghe notti insonni, un ampio disegno sulla schiena. Un pavone dai colori più cangianti, la coda aperta a coprire le spalle, dalle sue ali chiuse tralci di frutti e fiori mai visti in natura, intrecciati con due serpenti belli quanto il pavone. Gli stessi serpenti intrecciati
anche davanti, sdraiati su un diverso tappeto di fiori. I frutti maturi sono melograni ricamati all’altezza del seno, gli occhi dei serpenti guardano a terra, due scarabei sono nascosti proprio dove c’è l’ombelico. Ora è pronta, si avvolge nel mantello, nasconde i capelli nel cappuccio e ancora davanti allo specchio, prova la scena. Abbassa un poco il capo, lascia che la massa fulva appaia come un bagliore sullo sfondo nero. L’effetto è assicurato, può uscire. Non ha ancora deciso, quest’anno, da che parte iniziare. Comincerà dal metrò, così che in
molti la potranno vedere. Eccola a Turro, come sapeva la gente la guarda, curiosa.
La sua sola presenza riscalda l’aria, tutti slacciano i cappotti chiusi. Sì, l’effetto è assicurato, non vista dai presenti, stacca uno spicchio di melograno dal suo mantello e lo porge alla bambina con la treccia, seduta accanto alla porta. Scende in Piazza del Duomo, cosa sarà mai marzo se non arriva la primavera? Il tempo minaccia ancora pioggia, ma lei sbuffa verso il cielo e le nuvole, piano, piroettano come ballerine e si sfilacciano nell’azzurro di smalto, rubato dall’occhio del dio serpente. Il sagrato è stracolmo di gente nata di certo sotto altri cieli.
La strega di marzo è curiosa, è da lunghi anni che non si allontana da questa città. Qua e là ruba colori che arrivano da terre lontane, dove il caffè cresce incoronato da nuvole regine.
Sono i rossi soprattutto ad attirare la sua attenzione, non ce ne sono molti nel suo ricamo, se non quelli un po’ cupi di mele e melograni. Per ogni colore rubato dai vestiti, regala al donatore ignaro il sorriso di una bella passante, lo sguardo ammirato di un giovane dalla bocca fatta per i baci, se è a una donna che ha preso il colore. Anche se a volte, bizzosa com’è, si diverte a mischiare attrazioni e amplessi, così che nessuno abbia più certezza del suo destino. Non sta ferma un istante, con il suo passo portato dal vento, attraversa ogni strada, si attarda però su quelle non asfaltate, dove ci sono cubetti di porfido e lastroni di pietra vera, dove camminare anche a piedi nudi, uno dei suoi principali divertimenti. Più di tutto però le piace immaginare lo stupore degli abitanti, troppo chiusi nella razionale percezione di quel che è evidente, se vedessero le magie che fa, sfiorando appena gli alberi con le mani.
Così si diverte a reiterare le sue apparizioni alle stesse ragazze sfacciate che hanno deriso i suoi piedi nudi qualche ora prima. Almeno, poverette, in vecchiaia avranno qualcosa da raccontare.
Le forsithie ora sono in piena fioritura, gialle più d’un pulcino, più dello stesso sole.
Spesso ne appunta interi rami sulle schiene piegate di compassati e affranti bancari, tutti vestiti di grigio. Che piccola rivoluzione quando fa saltare tutti gli orologi e al tramonto spegne i lampioni. Ha aspettato tutto l’inverno ascoltando i gemiti della città desolata e i pensieri inconfessati di questi tristi abitanti. Poi passa albero per albero, aggancia ogni foglia nuova, pesano poco perché sono ancora piccine, culla ancora le tenere foglie di cui sa tutti i nomi. Quando proprio vuole strafare, costringe il sole a risplendere più da lontano, così che l’aria si scaldi e il glicine, ben prima del suo tempo futuro, esploda nei colori della piena fioritura. Man mano che passano i giorni, il mantello perde i colori, ha già strappato tutte le piume del pavone, sgranato i melograni, messo in libertà gli scarabei che strisciano per la città cambiando colore agli occhi dei bambini. Solo i serpenti sono risaliti sino alla sua gola per adornarla come collane. Che fatica, i piedi sono una piaga, nel suo vagabondare alterna giornate di vento e sole a giornate di piccola pioggia, così che gli alberi non abbiano a soffrire. I visi ora sono più distesi, i cappotti vengono ingoiati dagli armadi, il suo lavoro è quasi finito. Per le strade ruba lo zucchero filato ai bambini, Il sole 24 ore a quelli che vanno troppo seri, rompe i ganci delle collane più belle dei suoi serpenti, raccoglie carte colorate per strada, strappa a una donna una ciocca di capelli di un rosso che non ha provato mai. Invisibile in
Galleria, fa razzia di libri svolazzando oltre gli ingressi vigilati. Ha bisogno di idee per l’anno che verrà, ruba anche un dente di perla a un bambino e un campanello da una bicicletta parcheggiata. Ora sa che è tempo di andare. Manca la scena di chiusura, un tramonto eccezionale, dai rossi mai visti, magenta e carminio, strisce di viola strappate dal suo vestito. Alla fine, poco prima che si illuminino i lampioni, tardi proprio davanti alla Scala, alte
strida rimbombano nei cieli: sono tornate le rondini. Qualcuno attratto dal richiamo, alza il capo e incantato si ferma a guardare, due donne dai capelli rossi, seppure diseguali, ridono gioiose in mezzo alle auto bloccate da un semaforo impazzito. Lei sorride compiaciuta, il lavoro è stato ben fatto. Con un gesto deciso lancia il mantello verso il cielo che si oscura e svanisce
nell’aria, mentre sta attraversando la strada. Caterina, Caterina quando smetterai di giocare e di travestirti? Eppure so che tu porti la primavera, vi riconosco dall’odore.
2 settimane fa
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