Una mappa del cielo estivo disegnata scivolando per le vie della città, per le mie vie. Ma non del cielo diurno perché in esso sono visibili solo nuvole di passaggio, le ombre metalliche delle auto rarefatte, il segno dei lamenti che salgono dall’asfalto incandescente. È il cielo notturno che offre una possibilità di navigazione e con esso la necessità di una mappa buona per ritrovare
la strada e il senno. Poche volte qui accade di scorgere sopra i tetti una luna rossa come le fiamme di una candela, un evento inaspettato che lascia i pochi residenti a bocca aperta.
Quando la luna piano si avvolge nel suo scuro mantello e l’aria non è gravida di umidità, si possono scorgere le stelle. Bello sarebbe impararne i nomi, quel che non abbiamo fatto da bambini. Ma le stelle non bastano a dare un senso alle forme del cielo oscuro. Di notte
i fantasmi abbandonano i loro sentieri terrestri e si lasciano trasportare dalle brezze sottili fin sulle cime dei palazzi più alti. Qui stanno seduti tutta la notte a ripetere, senza stancarsi mai, le storie che hanno udito durante il giorno uscire dalle bocche dei vivi. Questo è quel che più di ogni altra cosa i fantasmi invidiano, la possibilità di vivere, così da avere poi delle storie da raccontare. Nelle notti d’agosto e solo in quelle, la città è interamente avvolta nei sogni dei dormienti. Ogni sogno è il filo di un tessuto, ogni sognatore telaio e tessitore insieme. Cosa ne verrà da questa notte di estate, breve come un sospiro? Il primo sognatore cammina solo tra montagne altissime, le cui cime si perdono tra nuvole gravide di pioggia. Il secondo sognatore incontra sua madre giovane, abbracciata a un uomo che non sarà suo padre. Il terzo che viene avanti è una sognatrice perduta in un deserto di sabbia rossa che raccoglie e guarda un unico seme prima di piantarlo nel terreno. Poi è la volta di un uomo anziano che sogna, notte dopo notte, di tornare nelle terre che lo hanno visto bambino e lì ritrovare il padre che ha perduto prima di averne imparato il viso, la madre amorosa che gli portava cibo e panni caldi nelle lunghe notti di lavoro in campagna, i due fratelli maggiori partiti per il Brasile e mai tornati indietro. Di nuovo è una donna che lascia i suoi sogni liberi di vagare. Cammina in una piazza dalla forma circolare piena di mercanti e bancarelle colorate, di servi che fanno la spesa. Guarda se stessa nel sogno e scopre di abitare il corpo di un giovane uomo. I sogni di un bambino assomigliano a una favola che la madre gli ha letto la sera prima. Una bambina sogna
la strega di Biancaneve che cerca un’allieva, così si sveglia urlando nella notte.
Sognano tutti gli abitanti di questa città, ma mai nessuno che sogni di abitarci. E se sognano la città, è quella del passato, quella che li ha visti bambini ansiosi di diventare adulti. I fantasmi sono avidi di sogni, più di quanto non locsiano delle narrazioni dei vivi. Dei sogni ci si può appropriare e portarli con sé, perché si levano verso il cielo avvolti in sfere di cristallo.
Alcuni ne fanno incetta per farne collezione. Ma nessuno sa dove i fantasmi custodiscano i loro tesori, le case dei fantasmi sono ignote ai vivi. Man mano che il buio si attenua, i fantasmi scivolano giù dai tetti importunando i gatti ancora addormentati. Nell’ora incerta che tra la notte e il giorno sta, diventano per qualche attimo di nuovo tangibili. Così si lavano alle fontane che zampillano acqua fresca, camminano a piedi nudi sui prati, staccano le locandine delle edicole, sfogliano la prima edizione del Corriere della Sera. Dato che possono toccare le cose, qualcuno suona ai citofoni o fa suonare telefoni in case addormentate. Ma è solo questione di pochi momenti, non appena la luce sale, di nuovo diventano invisibili e anche i loro gemiti diventano inudibili alle orecchie umane. Chi erano i fantasmi che vivono nell’ombra dei miei cortili?
Forse quelli che hanno lasciato cose incompiute, saranno in molti a ritrovarsi su queste stesse strade in un tempo che chiamano futuro. Ora l’atmosfera è cambiata anche d’estate. Sarà perché
le grandi fabbriche non ci sono più, sarà perché la gente ha imparato a fuggire la città anche in altri mesi, non sono più un teatro di desolazione in agosto. Solo che ora si esauriscono molto più rapidamente sia idee che risorse. Visitati i pochi musei aperti, visti i film perduti l’inverno precedente, letti tutti i libri accumulati, privi a dire il vero di qualsiasi energia, dopo tanto vagare. Però i mie abitanti potrebbero ancora cercare piume d’angelo sui tetti delle case e scarpe dei fantasmi fuggiti all’alba. Possono cercare se stessi bambini in luoghi che, a occhi chiusi, sono sempre uguali così come accade solo quando si è bambini. Seduti ai tavolini all’aperto finiscono sempre con il chiacchierare con sconosciuti, come in altre stagioni non avrebbero fatto mai. Anche gli uffici aperti sono sonnolenti e inoperosi. Sfogliano il giornale sino a mezzogiorno, chiacchierano al telefono con l’amica che sta al mare. Contano i giorni che mancano alle ferie e rievocano quelle appena trascorse con i colleghi che si fingono interessati.
Soprattutto d’agosto possono godere di un silenzio sconosciuto in tutto il resto dell’anno. Di notte, con la finestra aperta, si sentono frusciare le foglie, si sente il ronzio dei lampioni e qualche sirena lontana che non allarma ma culla il sonno. E in questo silenzio ritrovano, poco a poco, il senso delle parole che credevano perdute e che invece ancora dimorano in loro. Così da alimentare i fili del telaio per i tessitori notturni e il fiato per i narratori diurni. Possono abbandonarsi alla furia del temporale e dimenticarsi di ogni cosa, e per questo farsi invidiare
dai miei palazzi, possono costruirsi una casa con i ricordi e le prime foglie cadute. Dare rifugio ai fantasmi e respirare l’odore di terra bagnata che sale sino alle finestre. Così cullati dal rombo del tuono e illuminati dalla folgore più vicina, possono avviarsi dentro se stessi, pronti a cercare la strada che porti alla scoperta del non ovvio e del non banale. E trovare così insediate molto in fondo, quasi vicino al loro cuore, molte città che stanno nell’attesa di essere scoperte, molte case che devono essere costruite, molte storie che vogliono essere vissute prima che narrate.
In questo scorcio di secolo che ha la fortuna di non avere bisogno di eroi. In questo tempo che si sforza di essere normale senza rivelare mai quale sia la pietra di paragone, quale lo scandalo da tacere. Agosto è l’ultimo mese dell’anno, qui in città lo sanno tutti che è settembre il mese degli inizi, l’inizio dell’anno nuovo. Ad agosto resta tutta la rassegna delle malinconie inspiegate, dei ricordi luccicanti d’acqua, dei cambiamenti repentini di direzione. Caterina in agosto non va mai via, i suoi occhi sono i miei occhi, i suoi passi quelli che non potrò segnare mai. Le regalerò temporali e una storia nuova da raccontare.
2 settimane fa
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