mercoledì 20 gennaio 2016

Leggere Ian McEwan come se fosse la prima volta

A volte capita che uno scrittore molto amato scivoli via dal nostro orizzonte senza che ce ne rendiamo conto. A me è successo con Ian McEwan che ho adorato ma che poi, e davvero non so perché, ho smesso di leggere. 
Nei giorni scorsi ho preso in mano Sabato e l'ho divorato. Un romanzo dov'è c'è tutta l'esistenza di un uomo raccontata in un giornata di sabato, il 15 febbraio 2003 per l'esattezza,  che diventerà unica, terrorizzante, speciale. Una giornata che inizia con un risveglio prima dell'alba e un areo in fiamme che sta cadendo e si chiude più o meno alla stessa ora della domenica. 
Henry Perowne, il protagonista è un neurochirurgo che conduce una vita piena e ricca. Ha un lavoro che lo coinvolge completamente, ama la musica, è sposato con una bella donna che ama ed è ricambiato, due figli giovani adulti, un talentuoso musicista blues e una poetessa che sta per pubblicare con un editore prestigioso il suo primo libro, una bella casa. Per un banale incidente questa bella vita, mentre l'Inghilterra sta per entrare in guerra contro l'Iraq e Londra è invasa dai manifestanti, rischia di finire all'improvviso e di entrare tra i casi di cronaca nera. C'è davvero tutto in questo romanzo straordinario, la fragilità della vita, l'incontro con la malattia e la morte, che Henry affronta tutti i giorni in sala operatoria, la felicità dell'amore coniugale, riflessioni sulla creatività artistica e scientifica, sullo sport, sulla decadenza fisica e la vecchiaia incipiente. Anche le riflessioni sulla politica e l'attualità, incluso lo scontro tra civiltà sono attuali al punto da sembrare scritte in questi giorni di inizio 2016.
La sensazione è di vivere istante dopo istante con lui, proprio quel che lui sta vivendo, di entrare nella sua pelle e nei suoi pensieri. Un libro magistrale, che finisce dritto dritto sul ripiano dei libri da rileggere. Di seguito l'incipit in italiano e in inglese.

Elena Petrassi

Ian McEwan
Sabato
traduzione di Susanna Basso
Einaudi 2005



Qualche ora prima dell’alba Henry Perowne, un neurochirurgo, si sveglia per ritrovarsi già in movimento, seduto nell’atto di scostare le coperte e quindi di alzarsi in piedi. Non sa esattamente da quanto è cosciente, né del resto la cosa risulta avere rilevanza. Non gli è mai successo nulla di simile ma non è allarmato e neppure vagamente sorpreso, perché si muove con assoluta disinvoltura, provando un piacere diffuso agli arti, e sentendosi schiena e gambe insolitamente vigorose. Eccolo in piedi, nudo accanto al letto - si corica sempre nudo - in tutta la sua statura, consapevole del placido respiro di sua moglie e dell’aria invernale della stanza sulla pelle. Anche quella è una sensazione gradevole. L’orologio sul comodino segna le tre e quaranta. Henry non ha idea di che cosa ci faccia alzato: non sente il bisogno di liberare la vescica, e neppure è turbato da un sogno o da qualche particolare del giorno precedente, o addirittura dalle condizioni in cui versa il mondo. È come se, lì in piedi al buio, si fosse materializzato dal nulla, in piena forma e in completa libertà. Non si sente stanco, a dispetto dell’ora e delle fatiche degli ultimi giorni, e non è nemmeno preoccupato per un caso recente. Anzi, è sveglio, sereno e inspiegabilmente euforico. Senza averlo deciso e per nessuna ragione al mondo, si incammina verso la più vicina delle tre finestre della stanza con un passo di tale agilità e scioltezza da fargli sospettare che si tratti di un sogno o di un episodio di sonnambulismo. Se è così, rimarrà deluso. I sogni non gli interessano; trova più promettente la possibilità che tutto questo sia vero. D'altronde è perfettamente lucido, ne è più che certo, e sa bene di essersi lasciato il sonno alle spalle: riconoscere la differenza tra sonno e veglia, distinguerne i confini, sono questi i fondamenti della sanità mentale.

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Some hours before dawn Henry Perowne, a neurosurgeon, wakes to find himself already in motion, pushing back the covers from a sitting position, and then rising to his feet. It's not clear to him when exactly he became conscious, nor does it seem relevant. He's never done such a thing before, but he isn't alarmed or even faintly surprised, for the movement is easy, and pleasurable in his limbs, and his back and legs feel unusually strong. He stands there, naked by the bed - he always sleeps naked - feeling his full height, aware of his wife's patient breathing and of the wintry bedroom air on his skin. That too is a pleasurable sensation. His bedside clock shows three forty. He has no idea what he's doing out of bed: he has no need to relieve himself, nor is he disturbed by a dream or some element of the day before, or even by the state of the world. It's as if, standing there in the darkness, he's materialised out of nothing, fully formed, unencumbered. He doesn't feel tired, despite the hour or his recent labours, nor is his conscience troubled by any recent case. In fact, he's alert and empty-headed and inexplicably elated. With no decision made, no motivation at all, he begins to move towards the nearest of the three bedroom windows and experiences such ease and lightness in his tread that he suspects at once he's dreaming or sleepwalking. If it is the case, he'll be disappointed. Dreams don't interest him; that this should be real is a richer possibility. And he's entirely himself, he is certain of it, and he knows that sleep is behind him: to know the difference between it and waking, to know the boundaries, is the essence of sanity. 

 

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