domenica 27 aprile 2014

Una parola nuova condensa qualcosa di incompreso

Le virtù dei nostalgici. Secondo Starobinski sviluppano la capacità di essere critici. E di creare, con la scrittura, esperienza.

Entrare in un libro di Jean Starobinski è come addentrarsi in una foresta incantata, piena di una varietà molteplice di erbe, cespugli e alberi. Respiri un’aria fresca, guardi in alto e ti accorgi che ogni pianta ha un tronco robusto con ramificazioni fittissime e che da ciascun ramo si dipartono altri rami e rametti secondari, all'infinito, con le loro frondosità cangianti da cui filtrano luci e bagliori. È questo procedere per continui avvii e rinvii e continue aperture, a volte spaesanti, il tratto più tipico della saggistica del novantaquattrenne critico ginevrino, medico, storico della scienza e delle idee. Saggista prima di tutto, dove per saggio si intende una forma di pensiero e di scrittura, libera e mai capricciosa, dalla razionalità multiforme, aperta e dialogante. 
(...)
Il discorso di Starobinski si muove tra scienza e critica letteraria, tra storia dei concetti e analisi del linguaggio che li definisce tecnicamente e li esprime in arte. C’è un passo che chiarisce molto bene il rapporto che c’è, per Starobinski (il quale si è formato, tra l’altro, con il grande maestro di stilistica Leo Spitzer), tra le parole e le cose, oggetti inscindibili della sua ricerca. È un passo che scaturisce da una domanda: se i sentimenti preesistano alle parole che li nominano, oppure se i sentimenti si materializzino nella nostra coscienza solo dal momento in cui hanno ricevuto un nome. Starobinski risponde che si tratta di due proposizioni «vere a titolo complementare»: 
«Una volta nominato, avendo acquisito un’identità, un sentimento non è più veramente lo stesso. Una parola nuova condensa qualcosa di incompreso, che per l’innanzi era rimasto evanescente. Ne fa un concetto. Opera una definizione e invoca un sovrappiù di definizione: diventa materia di saggi e di trattati. Viviamo di passioni le cui parole ci precedono, e che non avremmo provato senza di esse». 

frammenti della recensione apparsa sul Corriere della Sera del 22 aprile 2014 di Paolo Di Stefano al nuovo libro di 

Jean Starobinski 
L'inchiostro della malinconia
traduzione di Mario Marchetti
Einaudi 2014


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