Vedere il foglio di carta devastato dalle correzioni è un piacere impagabile, è un lavoro spirituale che instaura con il testo e con te stesso una conflittualità che solo il continuare a correggere stempera.
Le correzioni fanno corpo con la pagina, quello che c'è sotto non è cancellato, resta traccia della lotta, non c'è annientamento. Ma dove combatti il "nemico", che è la versione precedente, non c'è ancora il testo nuovo corretto e potrebbe non esserci mai. Quando il foglio si infittisce lo guardi e dici "questa è la mia lotta", perché la scrittura è anche un lavoro fisico, il segno della sofferenza.
Solo dopo una nuova battitura la versione precedente, il foglio macerato, può scomparire, il campo di battaglia è esaurito, quel foglio può essere buttato.
C'è tutta una strategia del correggere a mano che l'uso del computer annulla, perché si perde la visione del campo di battaglia, non restano tracce.
Scrivere a mano è un metodo barbaro che invece lascia tracce, il computer è asettico, inodore, poco rumoroso, a colori ma triste e freddo, elimina qualunque slancio nervoso e spirituale. Invece se guardi il foglio corretto, vedi la psicologia dietro la correzione, così soltanto puoi vedere il lavoro che hai fatto. Lo schermo del computer rispetto a un foglio scritto a mano è come il volto di un manichino della Standa rispetto a un volto vivente.
Scrivere con il computer fa scomparire l'ombra della scrittura, quell'ombra che solo la scrittura a mano crea.
Danilo Bramati
(da una conversazione di sabato 30 marzo 2013)