domenica 5 agosto 2018

Guardare un albero, scrivere un film: un periodo di astrazione e acutezza, di umidità

Una domanda antica e persistente.
     Come nasce un'idea? E in particolare l'idea di un film?
     Chi risponderà che l'idea gli è venuta mentre guardava un albero dirà una verità e una menzogna.
     Verità, nella misura in cui durante una passeggiata si è fermato a guardare un albero, senza una ragione precisa, mentre nulla sembrava costringerlo a farlo. Né la forma dell'albero, né il colore, né la vecchia ferita sul suo tronco conducevano a un'idea.
     Menzogna, nella misura in cui quando si è fermato a guardare l'albero, qualcosa - una frase ascoltata per caso in strada, tempo addietro, oppure letta in un libro, una notizia irrilevante comparsa sui giornali, un'immagine, intorpidita o dormiente in fondo al magazzino delle immagini che ognuno possiede - dopo un lavorio sotterraneo, di giorni, di mesi o di anni che si compiva segretamente dentro di lui - in quel preciso momento gli si è ripresentato, trasformato. Quel momento è diventato così, in modo inatteso, un incontro privilegiato con l'indicibile.
     L'albero non c'entrava proprio niente. Era innocente. In questo senso, tra verità e menzogna, potrei dire che l'idea delle nozze sul fiume nel Passo sospeso della cicogna è nata sull'autobus che mi portava da Broadway al Bronx, mentre attraversavo Harlem in una strana primavera del 1987.
     Ma cos'è che si è risvegliato in quel momento, trasformato e reso quasi irriconoscibile dall'oblio?
     E perché?
     Una lettura, probabilmente su un giornale del 1958.
     La lettura potrebbe essere la storia della sepoltura di un pastore, in un'isoletta a qualche decina di metri da Creta ma ancora nella sua ombra, dalla parte meridionale, verso il mar Libico. Inverno, mare in tempesta: impossibile fare la traversata in barca e un pastore morto aspetta di essere seppellito.
     Il papàs del paese più vicino a Creta era stato avvertito con delle segnalazioni. Venne, salì su una roccia, con l'abito che garriva al vento e si mise a dir messa al mare, mentre i pastori, dall'altra parte, sull'isoletta, seppellivano il morto. 
     Ma era proprio questo? O c'era qualcos'altro? In quel momento quale associazione di idee si completava nel silenzio, eppure in modo tanto decisivo, da sovrapporsi a quel che vedevo dal finestrino dell'autobus? (Harlem, nel sole del pomeriggio, magica e terribile al tempo stesso.) Come ha interferito (proprio come un altro canale interferisce improvvisamente con quello che stavamo guardando in televisione) l'immagine fantastica di un fiume, che fa da confine tra due Stati, con la bianca figura della sposa da una parte e dello sposo dall'altra?
     Il periodo che precede la realizzazione di una sceneggiatura è un periodo di umidità, con strane variabili, strane percezioni apparentemente irragionevoli. Un'alternanza di astrazione e acutezza. È un periodo di doppia vita. La parte rumorosa di te vive la quotidianità come sempre, mentre quella silenziosa tesse in segreto, con materiali invisibili, ciò che, a un certo punto, maturerà e uscirà in superficie, quando meno te lo aspetti, attraversando con stupefacente facilità tutti i filtri della quotidianità.
     Chi dirà che l'idea di un film è nata guardando un albero dirà la verità.

Theo Anghelopoulos
In luogo del prologo
in
Petros Markaris
Diario di un'eternita
Io e Theo Anghelopoulos
traduzione di Andrea Di Gregorio
La nave di Teseo editore 2018



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