giovedì 31 gennaio 2013

Gennaio

Avevo uno specchio
Dove ciò che vedevo non era più me stesso
Ma pal­pe­bre chiuse su braci
Un mondo rosa e profondo

Occorre che io lo spezzi
Prima che mi nasconda l’aria

Oh que­sto fuoco che ancora una volta corre all’aurora
Nato dal sonno dell’orizzonte
E sui vetri que­sta saliva di gelo
Il fuoco che avvampa per­ché le mon­ta­gne sono sdraiate
Per­ché hanno chiuso gli occhi
Nell’azzurro del sonno un fuoco si accende
Mon­ta­gne che sognano
Inna­mo­rate

Pas­serò la notte in que­sta barca. Nes­suna lan­terna né a prua né a poppa.
Nulla se non qual­che stella nella madre­perla dell’acqua e il moto asso­pito della cor­rente. Arri­verò a una riva incerta, segna­lata dai radi gridi dei primi uccelli, spaventati.
Anime sot­tratte al mondo per­ché spe­rare in un simile accesso? Ci sono forse delle spe­cie di gridi sco­no­sciuti, uno sguardo che nulla ferma, che nulla può stre­mare – qual­cosa che va oltre ogni sapere, ogni imma­gi­na­zione, ogni desiderio?

Con que­sti lun­ghi grandi freddi, nella terra diven­tata come pie­tra, i futuri fiori nelle loro cap­sule, nei loro astucci.
Uccelli acco­stati alle case.

Cascata nera sospesa
Cosa miste­riosa, equina
Piu­mag­gio
Cosa da torcere
Bru­ciante vici­nis­simo a noi
Vello, tiz­zone, tor­cia rovesciata
Fiamma della notte nel giorno
Ferro nel nostro cuore.


Que­sta poe­sia di Phi­lippe Jac­cot­tet, con tra­du­zione di Anto­nella Anedda è tratta dal volume
I Poeti della malin­co­nia, a cura di Bian­ca­ma­ria Frabotta
Don­zelli, 2001

La potete trovare anche su Rable un sito interessantissimo dedicato alla letteratura.

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