Elenco. Parole
Dimenticare,
ricordare.
Etimo, radice: mente, cuore. Se dimentichi
allontani dalla mente. Se ricordi riporti al cuore. (Natalia Revuelta, la donna che ha amato Fidel Castro prima che
diventasse Fidel, quando aveva vent'anni, nell'unica intervista mai concessa:
“Ho impiegato tutta la vita per trasferirlo dal cuore alla mente”. Un tragitto
così breve e così tanto tempo. Poi, dalla mente, si dimentica. Non dal cuore.)
Esistono anche scordare, rammentare.
L’opposto: allontanare dal cuore, riportare alla mente. Indice di frequenza
molto basso nell'uso comune. Regionale o letterario. Uno a mille. Vincono,
nell'uso della lingua parlata, ri-cor-dare e di-men-ticare. (Recordare, dalla “Messa di requiem” di
Mozart, cantava nonna Klara.)
Sinonimi. Dimenticare, obliare. Oublier.
Olvidar. Dal latino oblivium. Ob-liv. Verso l’oscurità. Diventare oscuro.
Anche: scolorire. (Oblivion, Astor
Piazzolla: musica – tuttavia – inolvidable, indimenticabile.) Dalla luce al
buio, ci vuole più coraggio a dimenticare. Entrare in ombra.
(Dimentichiamo
quattro cose al giorno, dice uno studio sulla mente. Il cervello umano archivia
quattro oggetti ogni giorno, li elimina – leggo. Dove vanno? Si possono
recuperare? Come? Inoltre: quattro, perché quattro? Come fanno a contarli?)
Vedovo, vedova: chi ha
perso il coniuge/compagno. Dal sanscrito: vindhale. Vuoto. Diventare vuoto. Ma
anche: che non sta in due, quindi solo. (Chi
non sta in due. Gemelli. Generati in due, partoriti in due, cresciuti in due.
Dunque: se uno perde l’altro, è vedovo di gemello?)
Uxoricida: chi uccide la moglie, uxor. Per
estensione, chi uccide il coniuge. Chi lo perde per sua mano.
Orfano, orfana: chi ha perso i genitori.
Dal greco orphanos, in latino orbus. Privato, mutilato. Senza un pezzo. Anche
orbato, in italiano. Non specifico. In Dante: orbati della luce. Ciechi: siete
orbi? Privi di occhi. (Di nuovo il buio.
Oublier, andare verso il buio orbati di memoria, allora.)
Parricida: di figlio che uccide il padre,
per estensione un genitore.
Infanticida: di genitore che uccide un
figlio.
La parola mancante.
Genitore che perde un figlio. Non che lo
uccide: che lo perde. Come si chiama, come si dice, chi è qualcuno a cui è
morto un figlio? Che posto occupa nella storia? Parola mancante, parola
mancante. Mancanza, assenza. Chi l’ha cancellata?, quando? dal dizionario
italiano, francese, tedesco, spagnolo, inglese. E poi: perché?
In tedesco: manca. In francese: manca. In
italiano: manca. In spagnolo: manca (deshijado, desueta e in disuso, indica
colui che non ha figli. Che non ne ha generati). In inglese: bereaved,
deprivato di chi si ama. Non specifica. Chi si ama, chiunque si ami.
In ebraico, eccola. Dalla Bibbia riemerge.
Av shakul, maschile. Em shakula, femminile. Verbo: shakal, perdere un figlio.
Genesi 27, 45. Isaia 49, 21. Geremia 18, 21. Antico Testamento. C’era, ed è
rimasta nella lingua moderna.
In arabo, c’è. Thaakil, maschile. Thakla,
femminile. Dalla stessa radice di shakul, la stessa origine.
In sanscrito: vilomah. Contro l’ordine
naturale, letteralmente. Non specifica, ma frequente nell'indicare la perdita
di un figlio. (Mi piace molto, vilomah.
Chissà se quest’“acca” alla fine si aspira, si respira. Mi piace molto il
sanscrito, una radice un mistero.)
In greco moderno:
charokammenos. Bruciato dalla morte. Charos, il maschile della morte. Non
specifica, ma usata di preferenza per genitore che perde figlio. (Non mutilato, come vuole il termine orbato,
ma bruciato. Non un pezzo mancante ma l’intera persona ustionata: nel corpo,
piagata, e nell'anima. Tutta. È più giusto. Più esatto.)
In greco antico:
orphanos, indistinto, indica i due lutti. Di chi ha perso il padre, di chi ha
perso il figlio. Nelle due direzioni, la mancanza, identica. (Ma non è uguale. Non è uguale. Perché non
esiste una parola per indicare il dolore di Andromaca di fronte alla morte del
figlio Astianatte gettato dalle mura di Troia? È come perdere un’anziana madre,
perdere un figlio neonato uscito dal tuo corpo?)
Orphanios, con la i.
Un solo caso. Un epigramma dell’Antologia Palatina. 7,466. Libro settimo,
quello degli epigrammi tombali. Frammento 466: Leonida. Madre sulla tomba del
figlio: povero Anticle, povera me. La mia vecchiaia sarà vuota di te.
Orphanios. Ecco, con la i. Una licenza poetica, dicono le note a margine. (Solo la poesia vede quel che gli altri non
possono, non sanno o non vogliono vedere. La poesia e la musica.)
Teknoleteira. Sofocle, Elettra, 108.
Antigone parla dell’usignolo che ha perso il figlio. (La musica, il canto di un usignolo.) Radice: da teknon, bambino, e
ollumni, perdere ma anche uccidere. È una parola usata una sola volta e molto
controversa, scrive una studiosa. Elettra piange la morte del padre Agamennone
e si paragona a un usignolo: “Come un usignolo che ha perso il suo piccolo
resterò qui sulla porta di casa di mio padre e per tutti risuonerà l’eco del
mio dolore”. È un riferimento a Procne, figlia del re ateniese Pandione,
trasformata in usignolo. (Niobe figlia di
Tantalo, a cui Apollo uccide i sette figli, è trasformata invece in roccia. Una
roccia, a volte, e altre un usignolo. Come pietra capace di cantare. Un canto
che gli umani non sentono. Un canto sott'acqua. Il canto delle balene. La mia
voce e la loro, segreta. Solo per noi.)