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Ora che siedi eternamente nella
stanza della mia immaginazione
preso tra il fumo verticale e
il perfetto reclinarsi della rosa,
non ti chiedo ascolto ma una nuova
premonizione. Tu che hai scritto
l’ebbrezza della luce nelle ombre di
un mondo a te solo noto, tu che di
queste ombre hai svelato l’affondo
gridandolo alla luce, tu che sei di
quella soglia l’unico custode, torna
a cantare, riprendi la parola e scrivi
per me che nell’ombra di quella stanza
da tempo immemorabile attendo
ogni giorno la tua parola. Eternamente
salirà il fumo della tua sigaretta, mai
la rosa sfiorirà e la pioggia griderà
al vetro la vertigine felice della caduta.
Rendi eterno e vivo quel mondo che
sempre aspetta la tua voce.
La stanza contiene uno spazio
preciso, quello che puoi misurare
contando i passi se solo tu volessi.
Ma la pioggia ti occupa lo sguardo,
i ricordi qui non sono i benvenuti.
La rosa si oppone alla nostalgia,
lei sola conosce il brivido dell’unica
fioritura e mai ha sentito lo scorrere
dell’acqua scivolare tra petalo e
foglia. Ti implora sfiorandoti la mano
perché tu apra la finestra e la
benedizione della pioggia possa così
scompigliare la perfezione. Niente
di ciò che ha fatto è merito della
volontà, piuttosto il salto del desiderio
alle tue porte. Fa’ ciò che devi e
come la rosa sii bellezza per questo
mondo. A lei tocca solo profumare,
suscitare ammirazione, sbocciare.
Più dura è la tua soglia da schiudere
ma nella parola che scrivi tu sei
perfetto come la più magnifica
delle rose.
Questo tavolo ha radici oscure
e invisibili alla nostra convinzione.
Solo ciò che tocchiamo è piega
del reale. Con la mano aperta sul
piano senti ancora la forza del vento
che sferza quel che era ramo e il legno
ti sussurra: non credere mai che le foglie
siano perdute, quel che ho restituito alla
terra dal cielo ritorna a ogni variazione.
È la pioggia che scroscia a rendere
visibile il vetro, è la luce che passa
attraverso a ricordare com’era avere
il sole piegato al mio desiderio, come
si tingeva il folto della radura attraverso
i rami chinati di fronte a questa bellezza.
Scrivi per lei di questa ombra poiché
la luce già le appartiene.
Dietro la pioggia si nasconde l’aria,
il vetro reclama il suo scontento
nel duello insonne di chi nello
spazio non cerca un posto ma
solo il movimento. Il ramo sorregge
la pioggia e canta al ritmo del vetro
immobile che ti protegge dalla vasta
notte della parola. Sono poche le
cose, pochi gli oggetti sul tuo tavolo
inciso di silenzio: la sigaretta accesa
nata per dare vita al fumo, la penna
deposta perché non vuoi che ti
sia spada, la mia rosa che geme ma
non si piega. È vuota la stanza, le
tue spalle sono il rifugio, sono la notte
oscura.
È solo una finestra, non occhio
sul mondo ma specchio del passato
che non trova l’alveo dove posare
il capo. L’uomo stringe una penna
come se fosse l’ultima sigaretta e
il fumo del reale piano sfila verso
il vertice del legno dove vetro e
aria si parlano, invisibile contro
invisibile. Nell’esile vaso della
compagnia mancata, quell’unica
rosa resiste alla sfida e non apre
i petali alla fiducia della luce, non
piega la foglia alla tua carezza
trattenuta. Scrive l’uomo, offre
le spalle all’ignoto della stanza
e non parla più di quanto non
possa la pioggia mite che sfida
l’aria e il vetro nel campo visibile
del sogno non compiuto. Perché
fuori piove e l’uomo solo fuma,
non può scrivere, non vuole, non
in quella stanza vuota.