venerdì 13 gennaio 2017

le nostre storie: intrecciarle e farle rivivere, scomporle e ricomporle

Credi in Dio?
«Sono tranquillamente ateo. Ma capisco che in un mondo nel quale molte cose sfuggono la religione può essere una forma di consolazione. Con Franco Fortini frequentammo per anni l'arcivescovado di Milano. Spesso si discuteva con il Cardinal Martini e un giovane Ravasi, biblista agguerrito. Detto ciò sento molto il senso del sacro».

Che definizione ne daresti?
«Per me il sacro è lo stupore e l'inquietudine di essere in un mondo senza volerlo. Ho un corpo e contemporaneamente vivo qualcosa che non mi appartiene del tutto. Mi sento ospite della vita e il sacro ne manifesta il rispetto e il timore».

E la filosofia cos'è per te?
«Perle cose che stiamo dicendo è una forma di igiene mentale; un aiuto a orientarsi nel mondo. È un insegnamento che ho appreso da Gadamer quando studiai con lui a Heidelberg».

Sei il filosofo italiano che più ha insegnato all'estero.
«È vero. Sommando le varie esperienze sono stato almeno quindici
anni fuori».

Dove?
«Negli anni Sessanta e Settanta a Tubinga, Friburgo, Heidelberg, Bochum, Berlino. Negli anni Ottanta in Canada e a Parigi. Quattro anni alla New York University; in Messico, Argentina, Brasile. E infine a Los Angeles, dove sono "Full Professor". Richard Rorthy diceva che ero il meno peninsulare tra i filosofi italiani. Per uno che ha vissuto il trauma del distacco dalla Sardegna, è stato tutto molto sorprendente».

Ti sorprende il tempo che passa?
«Se alludi alla vecchiaia, non lo considero un problema. E non sento l'angoscia del tempo né mitizzo l'infanzia. Ricordo che con Bobbio si condivideva l'idea che si vive per perdere e che bisogna accettare questa perdita progressiva di sé».

Lui era molto amareggiato negli ultimi anni.
«È vero. Una delle ragioni, diceva, era di aver vissuto più di concetti che di affetti. Poi ha scritto quel libro bellissimo, De Senectutedove si intravedeva la convinzione di un'esistenza piena, lunga e, infine, malinconica. La sua fu una storia bella, importante ma parziale. Come tutte le nostre storie. Intrecciarle e farle rivivere è il vero compito che ci spetta: scomporle e ricomporle».

frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Remo Bodei
Repubblica - Robinson
domenica 8 gennaio 2017

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