Quando le strade di Parigi si facevano silenziose, riusciva a ignorare tutto tranne se stessa,"lottando con la frase, quelle lunghe frasi che dovevano essere formulate con tanta precisione". Scriveva le parole a matita su pezzettini di carta prima di correggere la sua composizione e ricopiare la prosa con l'indelebilità dell'inchiostro. Certe sere scriveva a una velocità formidabile, riempiendo una pagina ogni due minuti e mezzo. Al tre non riusciva a buttar giù una sola parola, e fissava come paralizzata la pagina bianca. Ma restava comunque alla scrivania, in ostinata attesa che il silenzio si dileguasse. Smetteva di lavorare solo poco "prima del chiarore dell'alba", perché la luce rendeva le cose troppo reali, troppo dolorosamente nitide nella loro "thingness". Il buio le permetteva di ignorare queste distrazioni e di concentrarsi invece sul processo della composizione, sul modo in cui la scrittura scrive se stessa. Poi dormiva fino alle prime ore del pomeriggio.
Lo scrivere di Gertrude Stein raccontato in un libro imperdibile Proust era un neuroscienziato del formidabile Jonah Lehrer
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