lunedì 12 luglio 2010

Canto dello spirito della specie


La mia specie viene dall’ombra,
da un’alba di foglie e cenere,
il suo passo scavò la cenere
e il fango degli acquitrini.
La mia specie è vaso d’argilla
Plasmato da un fuoco interno:
il sasso, il legno, la pioggia
alimentano questo fuoco.
Il solco: la prima immagine.
La pioggia: il primo strumento.
Una fiamma lambiva il cerchio
di selci, crepitando nomi.
Io aleggiavo non visto
Sospeso sulle acque dense,
mi avvolgevo in vapori torpidi,
nel cuore verde del vento.
Chiuso nel fiore dell’ombra
mi innalzavo sulle pianure,
vegliando sulla mia specie
plasmavo forme dei sensi,
stringevo nodi inscindibili
fra stelle e volti celesti,
fra radici e demoni oscuri,
fra il respiro e la terra ardente.
Soglia, confine, incantesimo:
non il mio volto vero,
ma un fiume di forme aperte
nelle vene vive del tempo.
Ora verrà un’altra specie,
viene, incalza alle soglie,
avrà occhi, ali di aquila,
volti, balzi di tigre,
avrà cuori d’acciaio, sensi
nudi, menti di ghiaccio,
scioglierà la visioni splendide
in bagliori di cifre spente…
Era questo il mio, il nostro limite.
Qui mi dissolvo e verso
piogge più fosche e gelide
degli umori di conche e grotte
mi dissolvo, torno alle grotte
dove, in ombra, sognai la specie…
Tu, presenza che passi,
non pensare al mio sogno ingenuo,
non pensare: “questa è una lapide
di foglie e di poca cenere”;
tu salva: non quella nube,
quel campo, quel fiume, quell’albero,
quel tramonto; salva lo sguardo
che vide in volto quei nomi!


Questa poesia che amo e ammiro è tratta dal libro Idioti nell'ombra di Danilo Bramati, ATI' Editore 2010

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